A fare a meno degli Stati Uniti, l’ Unesco, l’agenzia dell’Onu per la cultura, ci è abituata. Nel 1984, Ronald Reagan decise l’abbandono dell’organizzazione, che ha sede a Parigi in un palazzo firmato, fra gli altri, da Pier Luigi Nervi. Passarono vent’anni prima che, nel 2003, George W. Bush autorizzasse il rientro, nel clima ambiguo della consonanza anti-terrorismo post 11 Settembre 2001, ma anche delle tensioni per l’invasione dell’Iraq.
“Lo scopo dell’Unesco è buono, ma sfortunatamente la sua estrema politicizzazione è fonte d’imbarazzo cronico”: dette ieri, la parole dell’ambasciatrice degli Usa all’Onu, Nikki Haley, avrebbero potuto benissimo essere pronunciate dal suo predecessore ai tempi di Reagan, che era pure una donna, Jeane Kirkpatrick. E la Haley, infatti, l’ha citata: “Proprio come dicemmo nel 1984, i contribuenti americani non devono più dovere pagare per politiche ostili ai nostri valori”.
La scelta dell’Unesco, fatta a luglio fra molte polemiche, di indicare la Tomba dei Patriarchi come sito palestinese “patrimonio dell’umanità” è “solo l’ultima di una lunga fila di azioni insensate, come quella di mantenere il dittatore siriano Bashar al Assad nel comitato per i diritti umani”, dice la Haley.
Pure il fatto che favoriti nella corsa alla direzione generale dell’agenzia, per succedere alla bulgara Irina Bokova, siano la francese, Audrey Azoulay, e il qatariota, Hamad Bin Abdulaziz Al-Kawari, suona un’anomalia per gli Stati Uniti: la Francia è culturalmente lontana dalle sensibilità americane per il Medio Oriente e il Qatar è l’emirato cui l’Arabia Saudita e i suoi vassalli hanno dichiarato, con il sostegno di Washington, una sorta di embargo diplomatico e commerciale, causa connivenze con l’integralismo e gli iraniani.
La decisione degli Usa di ritirarsi dall’Unesco entrerà in vigore il 31 dicembre. Dopo di che, gli Stati Uniti saranno osservatore permanente per “contribuire a fornire visioni, prospettive e competenze americane su alcune delle importanti questioni affrontate dall’Organizzazione”: senza diritto di voto, ma senza rinunciare a fare sentire la propria voce.
Attiva dal 1946, l’Unesco, che ha sede a Parigi, è stata una delle prime Agenzie specializzate create dalle Nazioni Unite: ha lo scopo di promuovere la pace e la comprensione tra i Paesi tramite l’istruzione, la scienza, la cultura, la comunicazione e l’informazione, nel segno “del rispetto universale per la giustizia, per lo stato di diritto, per i diritti umani e le libertà fondamentali”.
Nonostante qualche andirivieni nel tempo, l’Unesco conta oggi 195 Stati membri – saranno 193, dopo l’uscita di Usa e Israele – e 10 associati e gestisce programmi su quasi tutto il Pianeta. Una delle sue attività più conosciute e popolari è il mantenimento della lista dei patrimoni dell’umanità, siti importanti dal punto di vista storico, culturale o naturale, la cui conservazione e sicurezza è giudicata importante dalla comunità mondiale. L’Italia è il Paese che ne conta di più, 53, davanti alla Cina.
Negli anni cruciali della Guerra Fredda, l’Unesco era considerato, da parte dell’Occidente, un covo di comunisti: ai tempi di Reagan l’uscita degli Usa, poi seguiti dalla Gran Bretagna, fu proprio innescata da un piano per il Nuovo Ordine Internazionale dell’informazione, letto come un piano per minare la libertà di stampa. In tempi più recenti, i contrasti si sono concentrati sull’adesione della Palestina, entrata con 107 voti a favore e 52 astenuti nel 2011, che aveva già causato il blocco dei finanziamenti da parte di Usa e Israele.