A proposito di Corea. Donald Trump: “Kim è chiaramente un pazzo, che non si cura di affamare o uccidere il proprio popolo. Lo metteremo alla prova come mai prima”. Kim Jong-un: “Trump pagherà care le sue minacce”; e Pyongyang progetta un test della bomba all’idrogeno nel Pacifico – un atto inaudito, ormai da decenni -. Trump l’aveva schernito chiamandolo “Rocket Man” dalla tribuna dell’Onu; e Kim replica: “E’ un rimbambito, uno mentalmente ritardato… Il cane spaventato abbaia più forte” (il che, a dire il vero, s’addice ad entrambi).
Il presidente degli Stati Uniti e il dittatore nord-coreano si comportano come due condomini che litigano sul pianerottolo scambiandosi improperi: le loro voci rimbombano nella tromba delle scale fino all’androne. Solo che l’androne di Trump e Kim è il pianeta. E quei due tengono il dito ciascuno su un arsenale nucleare. Invece di lasciare il rampollo regnante della dinastia comunista cuocere nel proprio brodo, il magnate presidente abbocca all’amo, dandogli corda e solleticandone così la smania di grandezza.
E se il serbatoio degli insulti e delle minacce è sempre pieno, l’arsenale della diplomazia si svuota, giorno dopo giorno, e perde credibilità. Trump firma il decreto per una nuova ondata di sanzioni contro le società straniere che fanno affari con Pyongyang. Il che, però, può volere dire colpire società cinesi e russe, giapponesi e sud-coreane, asiatiche ed europee, infilando l’America in un ginepraio di contenziosi. Mentre Pechino e Mosca indicano la via delle pressioni e del negoziato, per indurre Kim a miti consigli. Anche l’Ue prepara misure, nel quadro delle risoluzioni dell’Onu già approvate. Il ministro degli esteri russo Lavrov invita “le teste calde” a “darsi una calmata” e paragona lo scambio di invettive tra Trump e Kim a “un bisticcio tra bambini all’asilo”.
Un video del New York Times spiega come la Corea del Nord si sottrae alle sanzioni, mentre Daniel L. Davis su Scout.com spiega che Pyongyang ha piani per sopravvivere ad un attacco. Esperti militari americani spiegano che un’azione preventiva, ipotizzata nei giorni scorsi da figure di rango dell’Amministrazione, potrebbe addirittura rivelarsi controproducente, esasperando la volontà di resistenza e gli istinti nazionalisti nord-coreani, esponendo a immediate ritorsioni gli alleati americani nella Regione, Corea del Sud e Giappone, e isolando gli Stati Uniti sulla scena internazionale. E l’Occidente ha già sperimentato, nel conflitto del 1950-’53, come non sia affatto facile combattere in territorio nord-coreano: una lezione da oltre 54 mila caduti americani mai imparata, dal Vietnam all’Afghanistan all’Iraq.
E mentre si consuma il rogo verbale Trump/Kim, cova sotto le ceneri la crisi, ben più grave e rischiosa per gli equilibri internazionali, tra Washington e Teheran: lì non si può ridurre il confronto allo show di due teste calde. Gli Usa sono sul punto di denunciare l’accordo sul nucleare raggiunto con l’Iran, nonostante nessuno tra partner ed alleati – con l’eccezione di Israele – avalli la mossa. L’Ue e in particolare l’Italia non vedono motivo di bocciare l’intesa dei ‘5 + 1’ con Teheran (Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia, Germania) “finché essa viene rispettata”: e, che lo sia, lo testimoniano sia l’Aiea, l’agenzia dell’Onu per l’energia atomica che ne è garante, sia – ed è quasi paradossale – il Dipartimento di Stato.
La settimana dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite si conclude, come largamente previsto, viste le assenze – i leader di Russia e Cina – e il tono del discorso d’esordio di Trump, senza passi avanti reali, su nessun fronte, Corea, Siria, il clima. L’Italia dice che la stabilizzazione della Libia ha un’alta priorità nell’agenda globale e s’aspetta che l’Onu vi torni in forze. Sarà. Di certo la Libia non è alta nell’agenda di Trump: per fortuna, viene da pensare.
In attesa che gli riscoppi in casa il Russiagate, il manager presidente si crogiola con i sondaggi: l’abbaiare a Kim lo fa risalire al 40% di gradimento. C’è una fetta d’America che ha proprio il presidente che si merita.