Al botto all’idrogeno della Corea di Kim, l’Onu risponde con un petardo, una minaccia di sanzioni dilazionata a lunedì 11, Seul con un botto a salve e gli Stati Uniti con una raffica di tweet sperata da Donald Trump e poi ridimensionata dai suoi collaboratori. Di questo passo, Pyongyang può tirare diritto, ammesso che sappia dove va: l’unica bussola della Repubblica ‘dinastica’ è la conservazione del regime.
L’alba di lunedì è tonitruante in Estremo Oriente: la Corea del Sud simula, con gli F-15K che tirano veri missili balistici Hyunmoo, un attacco al sito nucleare nord-coreano, Punggye-ri; e il presidente Moon e il premier Abe concordano di aumentare le pressioni su Pyonyang perché rinunci ai test e torni a negoziare.
Da Washington, arrivano i tweet di Trump, che non esclude il ricorso all’atomica contro la Corea del Nord e minaccia di mettere sotto embargo commerciale i Paesi che fanno affari con Pyongyang – tipo, la Cina, la Russia, gli stessi alleati Corea del Sud e Giappone: un’affermazione che appare subito paradossale.
Il capo del Pentagono Mattis stempera le dichiarazioni del presidente: ”Abbiamo molte opzioni militari” e la risposta a qualsiasi minaccia agli Usa, inclusa l’isola di Guam, sarà ”massiccia, efficace e risolutiva”. Ma – precisa Mattis – ”non puntiamo all’annientamento della Corea del Nord”, anche se ”abbiamo di che farlo”.
Poi, preceduta dal tam-tam diplomatico russo e cinese e pure europeo – “Siamo chiari: c’è bisogno di una soluzione pacifica e diplomatica”, dice Angela Merkel, che di opzione militare non parla proprio -, arriva la riunione d’urgenza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Gli Usa hanno pronta una risoluzione per nuove sanzioni, che sarà votata lunedì prossimo. Russia e Cina, però, osservano che la spirale ‘test – sanzioni’ non ha finora portato da nessuna parte.
Dopo il sesto test nucleare nordcoreano, il più potente, il primo d’un ordigno all’idrogeno, l’ambasciatrice degli Usa all’Onu Nikki Haley scandisce: “Ora è troppo. Non vogliamo la guerra, ma la nostra pazienza non è illimitata”.
L’ambasciatore cinese Liu Jieyi chiede a Pyongyang di cessare di compiere “azioni sbagliate, che “vanno contro gli interessi di tutti”. Pechino vuole il dialogo, “non il caos e una guerra”. La crisi “deve essere risolta pacificamente”.
Da Mosca, la Russia insiste che la soluzione può essere solo politica: per gli Usa e per gli altri Paesi lontani dalla Regione è “molto facile pronunciare la parola guerra, ma i Paesi dell’area devono avere più saggezza ed equilibrio”. Il Cremlino teme la concentrazione in Estremo Oriente di sistemi di difesa antimissili.
Infatti, Usa e Corea del Sud decidono di aumentare il numero di rampe per lo scudo antimissile Thaad, su cui Moon aveva riserve, e concordano di rimuovere il limite di carico (500 kg) finora posto alle testate dei missili sudcoreani.
“Continuiamo a vedere segnali di possibili lanci di missili balistici” nordcoreani – dicono esperti sudcoreani -, “prevediamo che la Pyongyang possa lanciare un missile balistico intercontinentale”. Sarebbe il terzo, dopo quelli del 4 e del 29 luglio. I tecnici di Kim III potrebbero pure essere riusciti a miniaturizzare un’ogiva nucleare, facendola pesare meno di 500 chili e potendola così installare su missili intercontinentali.