La decisione era nell’aria da giorni, ma Donald Trump ne aveva sospeso l’annuncio per non gettare benzina sul fuoco delle proteste anti-razziste che hanno accompagnato le sue ultime sortite. Adesso, il presidente fa ufficialmente sapere di avere concesso la grazia – la sua prima – all’ex sceriffo d’una contea dell’Arizona Joe Arpaio, noto come “lo sceriffo più cattivo d’America”, ferocemente anti-immigrati ed anti-omosessuali.
Una figura ai confini del mito, un po’ come Roy Bean, il giudice barista, l’uomo dai sette capestri, la ‘legge ad Ovest del Pecos’ della seconda metà del XIX Secolo. Anche su Arpajo, prima o poi ci faranno un film, magari senza scomodare icone di Hollywood come John Huston e Paul Newman.
Arpaio, 85 anni, sostenitore di Trump delle prima ora, era stato condannato per oltraggio alla Corte: aveva continuato a prendere di mira, e quindi a discriminare, gli immigrati, legali o illegali che fossero, nonostante i giudici gli avessero intimato di non farlo. Il presidente lo elogia: “E’ un grande patriota americano”. I suoi critici lo bollano come “un prevenuto razzista”. Anche i senatori dell’Arizona, entrambi repubblicani – uno è John McCain –, contestano il provvedimento.
Le polemiche riecheggiano quelle sull’equidistanza di Trump tra i suprematisti e loro contestatori negli incidenti di Charlottesville e nelle proteste che ne sono seguite in tutta l’Unione, oltre che l’impatto della controversa direttiva sullo stop all’arruolamento dei transgender dalle Forze armate.
La bagarre intorno alla grazia, un istituto in cui spesso i presidenti inciampano, non è l’unica grana di queste ore: Mentre l’uragano Harvey s’abbatte sul Texas, in stato di calamità naturale, l’Amministrazione, ornai commissariata dai generali e da Wall Street, perde altri pezzi ‘da destra’: se n’è andato Sebastian Gorka, nascita britannica, origini ungheresi, vice-assistente per sicurezza e anti-terrorismo, critico alla Steve Bannon sul nuovo corso della presidenza Trump, che non rispetta le promesse elettorali, come nel caso della decisione di rafforzare la presenza in Afghanistan. Come Bannon, Gorka subisce l’ostracismo del capo dello staff della Casa Bianca, il generale Kelly.
Intanto, il leader nordcoreano Kim Jong-un, di cui Washington aveva lodato l’inedita moderazione degli ultimi giorni, torna a lanciare missili: tre, tutti ‘corti’. Gli Usa minimizzano il gesto.
Arpaio, che adesso progetta di tornare alla politica, era stato accusato di violazione dei diritti civili, abuso di potere e discriminazione razziale nei confronti della comunità ispanica. A novembre 2016 non era stato riconfermato come sceriffo, una carica elettiva che lui manteneva da 24 anni.
La sua nomea è legata alle caccie ai clandestini organizzate nella sua contea, Maricopa, oltre che alla prigione di tende dove i detenuti doveva portare magliette e mutande rosa e ricevevano cibo scarso e scadente – proverbiale la mortadella verde muffa -. Quando uscivano dal campo per andare al lavoro, i prigionieri, in calzoni bianchi e neri, si muovevano in ceppi: una scena da film, a partire da ‘Nick mano fredda’.
La Casa Bianca sostiene che dopo oltre 50 anni di “ammirevole servizio alla nazione” Arpaio è “meritevole della grazia presidenziale”. A 18 anni, allo scoppio della Guerra di Corea, si arruolò nell’Esercito. Poi, lavorò in polizia a Washington e a Las Vegas e fu per 25 anni agente speciale della Drug Enforcement Administration (Dea), di cui guidò l’ufficio in Arizona. Nel 1992, vinse l’elezione a sceriffo: venne rieletto altre cinque volte.
Quello di Arpaio è il primo ‘perdono’ di Trump. Chi condivide la decisione la paragona all’ultimo di Obama, che commutò la pena del soldato transgender Manning, la talpa di Wikileaks su crimini dell’esercito Usa in Iraq e Afghanistan: “Manning stava scontando una condanna a 35 anni, Arpaio rischiava al massimo sei mesi”.
Spesso motivati da calcoli politici o da convenienze personali, i gesti di clemenza presidenziali sono una consuetudine a fine mandato: al suo ultimo giorno, Bill Clinton graziò, fra molte contestazioni, il finanziere March Rich, rifugiatosi in Svizzera per sottarre alla giustizia i suoi affari con l’Iran, ma grande finanziatore delle campagne democratiche. A volte, però, la clemenza presidenziale arriva quando serve: Gerald Ford ‘perdonò’ il suo predecessore Richard Nixon meno d’un mese dopo essersi insediato alla Casa Bianca.