Basta un tweet a sbaragliare il campo. Questa volta, però, il cinguettio vincente non è di Trump, ma del suo arci-nemico Barack Obama: l’ex presidente nero batte tutti i record di ‘mi piace’, superando i 3,1 milioni e il precedente primato di Ariana Grande – un tweet per la strage di maggio a Manchester, alla fine d’concerto -.
Per Donald Trump, è un duro colpo: perdere a twitter con Obama, non era mai successo. E’ il segno che i suoi confusi messaggi dopo le violenze razziste di Charlottesville, la cittadina della Virginia intorno a cui ruota la vita di Thomas Jefferson, il terzo presidente, creano più sconcerto che consenso.
Il messaggio di Obama è semplice, quasi banale: posta una sua foto con bambini di razze diverse e una citazione di Nelson Mandela, “Nessuno nasce odiando una persona per il colore della sua pelle, per le sue origini o la sua religione”. Il passaggio così prosegue: “Se le persone possono imparare l’odio, possiamo insegnare loro l’amore. Perché l’amore viene più naturale al cuore umano che l’opposto”.
Il botto dell’ex presidente è un viatico al ritorno alla politica, che dovrebbe avvenire a settembre. Obama va in aiuto ai democratici che, nonostante le gaffes e gli insuccessi del presidente Trump, sono allo sbando: la figura in testa ai sondaggi per la nomination democratica a Usa 2020 è l’ex vice di Obama Joe Biden, presto 75 anni, essenzialmente perché nessun altro esponente democratico ha visibilità nazionale. Secondo voci raccolte dai media americani, l’ex presidente sarà protagonista della raccolta di fondi per le elezioni di midterm del 2018.
L’America, però, è stanca delle piroette di Trump sugli incidenti di Charlottesville: una donna uccisa, diversi feriti, quando una Dodge guidata da un suprematista bianco ha deliberatamente investito manifestanti neri. Il presidente ha prima accomunato nella condanna razzisti e contestatori – parlava dal campo di golf in New Jersey dove trascorre le vacanze -; poi, spinto da collaboratori e familiari, ha denunciato “Ku Klux Klan, separatisti ed estrema destra” – alla Casa Bianca -; infine, per ora, ha di nuovo ripartito le colpe tra razzisti e contestatori – alla Trump Tower -.
L’ultima sortita ha galvanizzato Ku Klux Klan e suprematisti. Non è la ricetta giusta, per placare l’ondata di proteste nell’Unione: monumenti e simboli confederati sono stati danneggiati (o rimossi preventivamente dalle autorità). E Trump ha commentato con grossolana ignoranza: “Dopo Lee – Robert Lee, il comandante in capo dei sudisti nella Guerra Civile, ndr -, toccherà a Washington?”, come se la linea della storia unisse Washington a Lee, invece che a Lincoln.
Spopolano sul web l’hastag #45 e la frase ‘Not my President’, di chi non vuole neppure pronunciare il nome del 45° inquilino della Casa Bianca. E, con un tweet, Trump scioglie due forum economici che aveva lui creato, perché le defezioni erano troppo numerose
Per Trump e la sua squadra, sono giorni agitati: le polemiche razziali s’intersecano con gli alti e bassi delle tensioni internazionali, con Corea, Cina, Iran, Venezuela. Le critiche alla tolleranza verso l’estrema destra toccano figure della ‘galassia dell’odio’ della alt-right vicine al presidente: Steve Bannon, Stephen Miller, Sebastian Gorka. Bannon, 63 anni, ex ad del sito Breitbart News, è consigliere strategico di Trump, dopo averne guidato l’ultima fase della campagna elettorale.
Miller, 31 anni, è in corsa per direttore della comunicazione, dopo la meteora Anthony Scaramucci – ad interim, il posto è stato ieri dato a Hope Hicks, 28 anni -. Gorka, 46 anni, è spesso alla radio e in tv, sulle posizioni della alt-right. Su Breitbart News, Gorka ha sostenuto che i “lupi solitari” sono “un’invenzione dell’Amministrazione Obama”; e che “gli uomini bianchi e i suprematisti bianchi non sono il problema” dell’America.