Nei giorni in cui il Mondo ricorda commosso l’utilizzo delle prime e uniche bombe atomiche, sganciate su Hiroshima e su Nagasaki il 6 e 9 agosto 1945, l’orologio della minaccia nucleare torna ad avvicinarsi alla mezzanotte dell’Olocausto, con l’inasprimento del confronto tra Usa e Corea del Nord.
Se l’obiettivo è davvero quello di rendere il Mondo un posto più sicuro, non è affatto certo che la spirale innescata di provocazioni e sanzioni sia la migliore. Ma quando si parla di sicurezza la coerenza non è sempre la regola: tutti dicono ‘mai più la bomba’, ma proprio i Paesi che ce l’hanno sono contro l’iniziativa dell’Onu per liberarne il Pianeta.
Le nuove sanzioni dell’Onu alla Corea del Nord per un miliardo di dollari innescano un botta e risposta minaccioso. “Gli Stati Uniti pagheranno un prezzo mille volte maggiore”, proclama il regime di Pyongyang. Che si ritrova più isolato che mai: Pechino, il suo maggiore partner, lo invita a fermare i test missilistici e nucleari; e non ricevendo riscontro positivo lascia passare le sanzioni e assicura che “le applicherà al cento per cento”.
Quanto basta al segretario di Stato Usa Tillerson per vantare “l’unità” della risposta corale alla minaccia nord-coreana. E Trump, partito per una vacanza – ovviamente “di lavoro”, soprattutto sui campi di golf – nel New Jersey fino al 20 agosto, mette il silenziatore alle rimostranze verso Pechino che “non fa abbastanza” per tenere a bada i nord-coreani.
In realtà, l’atteggiamento di Pechino e di Mosca resta guardingo e contraddittorio: ovvio che nessuno voglia un confronto nucleare con Kim III e che l’arsenale nucleare nord-coreano e la disponibilità di missili intercontinentali non lasci nessuno tranquillo. Ma, in una telefonata, i leader cinese Xi e russo Putin – anche lui in vacanza: a pesca, in Siberia – giudicano “inaccettabile” la corsa al rialzo delle minacce tra Washington e Pyongyang, dopo che il consigliere per la Sicurezza Nazionale Usa McMaster ha evocato “un conflitto preventivo” per ‘regolare’ la questione nordcoreana.
Più consequenziale l’atteggiamento di Giappone e Corea del Sud, i due Paesi più esposti alla minaccia nord-coreana, che sono favorevoli a un aumento della pressione internazionale su Kim III. Mentre alla riunione dei ministri degli Esteri dei Paesi dell’Asean Pyongyang dice no alla ripresa del dialogo con Seul.
L’acuirsi, un po’ artificiale, della tensione coreana non impedisce alla stampa Usa di fare bilanci di politica interna ed estera del primo ottavo della presidenza Trump, che ha intanto disposto lavori alla Casa Bianca per 3,4 milioni di dollari, così da renderla un po’ meno “una catapecchia” – la definizione è sua -.
Il presidente va in vacanza senza avere ottenuto i risultati promessi in politica interna – la revoca dell’Obamacare, la riforma dell’immigrazione, i tagli delle tasse: tutti capitoli aperti – e senza avere migliorato le relazioni internazionali degli Stati Uniti. Anzi, la raffica delle sanzioni impostegli dal Congresso verso la Russia, l’Iran e la Corea del Nord creano anche imbarazzi all’Amministrazione, specie nei confronti di Mosca.
E, fra le tante contraddizioni dell’Amministrazione Trump, il New York Times rileva che le forze armate degli Stati Uniti, dopo 15 anni passati a combattere insurrezioni integraliste in Afghanistan e in Iraq, stanno ora addestrandosi ad affrontare un nemico più tradizionale: la Russia. Ma Trump non doveva migliorare le relazioni con Putin?, anzi, non era stato fatto eleggere (da Putin) proprio per questo?