Mezza Libia, e forse più, quelle navi italiane nelle proprie acque territoriali non le vuole proprio. Che sia per calcolo o per ripicca, piovono minacce sulla missione chiesta all’Italia, tra dubbi e ripensamenti, dal premier al-Serraj. A Roma è invece polemica tardiva e corriva sulle responsabilità delle bombe sulla Libia del 2011.
Protagonisti delle scaramucce verbali delle ultime 48 ore sono due personaggi di peso diverso: uno è il generale Haftar, un passato da uomo della Cia e un presente fatto di buoni rapporti con l’Egitto di al-Sisi e la Russia di Putin, oltre che con la Francia di Macron; l’altro è un figlio di Gheddafi, appena uscito di prigione e già capopopolo, Saif al Islam (la spada dell’Islam) Gheddafi.
Rispetto alla Francia, che l’ha apparentemente scavalcata nella mediazione diplomatica in Libia, l’Italia sconta un maggior sbilanciamento delle sue posizioni a favore di al-Serraj, premier scelto dalla comunità internazionale, neppure padrone del suo campo, e, quindi, una certa lontananza dall’Autorità di Tobruk, il cui Parlamento è il frutto delle ultime elezioni libiche e il cui uomo forte è Haftar, Che, ‘minando’ l’iniziativa di al Serraj, dimostrerebbe di avere il controllo del territorio – almeno della Cirenaica – e della parte più efficiente delle Forze Armate.
Il Parlamento italiano aveva appena dato via libera alla missione di supporto navale in acque libiche, la cui logica resta fumosa, al di là dell’obiettivo di contrasto ai trafficanti di esseri umani, che l’Assemblea di Tobruk esprimeva una forte opposizione, criticava il governo di al-Sarraj – l’intesa è del resto contestata pure da ministri del premier – e anticipava una richiesta di mediazione dell’Onu, perché la presenza di navi straniere nelle acque territoriali “sarebbe una violazione della sovranità del Paese”. Il tutto appare paradossale: il governo non riconosciuto dall’Onu sollecita la mediazione dell’Onu contro un accordo fatto dal premier insediato dall’Onu. Ma – anche – questa è la Libia.
La sortita del Parlamento di Tobruk era seguita dall’esplicita minaccia del generale Haftar, pronto ad ordinare alle sue forze di bombardare le navi italiane impegnate nella missione ed entrate nelle acque territoriali. L’informazione va presa con cautela, perché si basa solo su un tweet di el Arabiya. Ma politici italiani che hanno contatti con la realtà libica, come il ministro dell’Interno Minniti, o il presidente della Commissione Difesa del Senato, Latorre, riconoscono che “la missione italiana in Libia deve fare i conti con una situazione estremamente complessa”.
Il livello di guardia deve essere elevato e piani d’emergenza devono essere predisposti. Nervosismo e febbrilità nel Mediterraneo sono confermati dall’incidente di pesca di ieri tra Tunisia e Libia: due pescherecci di Mazara del Vallo, l’Aliseo e l’Anna Madre, sono stati attaccati da un’imbarcazione doganale tunisina, al largo di Zarsis, in acque internazionali. L’intervento di un elicottero militare italiano e di un’unità della Marina tunisina ha sventato il peggio.
Se le minacce di Haftar suonano concrete, le parole del figlio di Gheddafi suonano farneticazione: Saif al Islam dice che l’Italia ha “nostalgia del colonialismo fascista, quando le spiagge di Tripoli erano colonie di Roma”. Citato in modo indiretto da Lybia 24, la ‘spada dell’Islam’ afferma che “i politici italiani hanno rovinato le relazioni bilaterali” nel 2011 e che ora stanno ripetendo l’errore “con l’invio di navi, provocando i risentimenti del popolo in armi per i loro comportamenti irresponsabili”. Saif al Islam è da poco uscito dal carcere di Zintan e s’ignora dove sia: potrebbe trovarsi a Bayda, nell’Est del Paese, nell’area cioè controllata dalle forze di Haftar.
I sussulti di tensione tra Libia e Italia vengono seguiti all’Ue e all’Onu e nelle capitali più attente alla Libia. Le fonti di Bruxelles notano che, per ora, tutto si limita a parole, neppure confermate. Tra solidarietà all’Italia e rispetto per la Francia, l’Ue – dicono le fonti – “sta lavorando a sostegno di una soluzione politica in Libia e per aiutare la Libia a gestire i flussi migratori”.