Post del 21/07 C’è un filone di notizie che non s’inaridisce mai: è quello delle polemiche tra Donald Trump e i media. Da quando scese in lizza per la nomination repubblicana alla Casa Bianca – era la primavera del 2015 -, non c’è giorno che il magnate non abbia provocato la notizia, attaccando i media o subendone gli attacchi, in un crescendo finora ininterrotto man mano che otteneva la nomination, vinceva le elezioni, s’insediava alla Casa Bianca.
Ormai, i media, almeno quelli che lo criticano, sono #FakeNews. Ma forse la verità e che lui è #FakePresident.
Trump twitta: “Con tutte le sue false fonti anonime, la cronaca altamente distorta e anche fraudolenta, #FakeNews sta distorcendo la democrazia nel nostro Paese!”. Stavolta, interviene a difesa del figlio Donald jr, che ha avuto incontri ‘pericolosi’ con emissari russi durante la campagna elettorale. Il presidente non nega i fatti, ma quasi contesta il diritto dei media di raccontarli e di ‘investigarli’ dal punto di vista giornalistico.
Fra le risposte dei media di questa settimana, colpisce la copertina di People, rivista non ostile, in linea di principio, allo showbizz di cui Trump è un’espressione. “Segreti e bugie”: questo il titolo di copertina del popolare quotidiano, secondo cui il magnate ora presidente “ha insegnato ai figli a giocare sporco e a vincere a qualsiasi costo”. Il rotocalco sostiene che “una spietata cultura di famiglia ha creato Don Jr., i suoi fratelli e la presidenza”.
Nella ricostruzione di People, Donald Jr. avrebbe fatto qualcosa di anomalo – e di sgradito al padre – quando ha ammesso qualche criticità nel suo comportamento nel Russiagate. La regola di famiglia, che il presidente persegue con determinazione, è di non scusarsi mai, qualunque cosa si faccia. Chi conosce la famiglia dice che i Trump, anche i figlio Jr ed Eric cui è ora affidato l’impero imprenditoriale, “sono guidati dal credo del padre della vittoria a tutti i costi e del non ammettere mai i propri errori”.
Anche quando i media li smascherano in modo palese. Tanto sono #FakeNews.
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Post del 28/07 (che riprende altri articoli dei giorni precedenti) – L’America è in fibrillazione. E la Casa Bianca è un covo di vipere: raffiche di fughe di notizie, ‘fake news’ a gogò, rivalità e rancori. E’ come sul set di un Grande Fratello Vip; o – nel genere Trump – di ‘The Apprentice’, vera e propria fabbrica d’ostilità incrociate, capace di tirare fuori il peggio da ciascuno dei concorrenti.
L’Unione è punteggiata da proteste popolari contro il bando dei transgender dalle Forze Armate. E il presidente deve pure sperimentare, per l’ennesima volta, che un tweet non fa legge: il generale Joseph Dunford, capo di Stato maggiore della Difesa, precisa che non saranno modificate le norme sui transgender nelle forze armate, “fin quando il Pentagono non riceverà le direttive del presidente e non emanerà le nuove disposizioni”.
Il Campidoglio freme di pulsioni anti-Trump: va avanti l’inasprimento delle sanzioni alla Russia, che contrasta gli sforzi dell’Amministrazione per migliorare i rapporti con Mosca; e vanno avanti parallele le inchieste sul Russiagate del Congresso e del procuratore speciale Robert Mueller; mentre non va avanti, anzi si insabbia nei voti contrari del Senato, la revoca dell’Obamacare, promessa elettorale del magnate presidente.
Alla Casa Bianca, Trump è più frustrato che mai e minaccia di licenziare ministri in serie, quello della Giustizia Jeff Sessions e quello della Sanità Tom Price: le acque sono agitate; e la ‘macchina di fango’ delle ‘fake news’ funziona a pieno regime e inzacchera a turno i consiglieri e i familiari del presidente, anche se loro ritorcono le accuse sui media #fakenews.
L’arrivo a capo della comunicazione di Anthony Scaramucci, finanziere italo-americano, famiglia di Gualdo Tadino, e l’uscita di scena del portavoce Sean Spicer non ha certo portato armonia, anzi: tra lui e il capo di gabinetto di Trump Reince Priebus non corre buon sangue. “Non so se il rapporto con Reince sia riparabile”, dice the Mooch in tv. “Deciderà il presidente”, che, se può, ‘licenzia’. E’ successo che le finanze del capo della comunicazione sono state ‘messe in piazza’ da Politico grazie a una fuga di notizie attribuita al capo di gabinetto.
“Contatterò l’Fbi per far incriminare l’autore della fuga di notizie”, scrive Scaramucci, aggiungendo l’hashtag #Swamp, palude, e l’account di Priebus @Reince45. Cancellato poco dopo, il messaggio alimenta le tensioni nella West Wing. La cancellazione del tweet non ferma il tam tam: “Alcuni – dice Philip Rucker del Washington Post – stanno costruendo un caso per mettere Priebus sul banco degli imputati”. Anche Steve Bannon, consigliere speciale di Trump con venature suprematiste, è sulla lista nera del finanziere italo-americano.
Alla fuga successiva, Scaramucci si scatena: al telefono con un giornalista del New Yorker, settimanale di qualità, vomita insulti e oscenità contro colleghi e boiardi della squadra Trump. Che, dal canto suo, dà il cattivo esempio parlando male di ministri e malissimo di senatori.
Le fughe di notizie sono un’ossessione di Scaramucci (e anche del presidente). Appena insediatosi, il suo avvertimento era stato chiaro: basta fughe o “licenzio tutti”. L’estate di Washington di solito calda s’annuncia torrida.