Donald Trump trova difficoltà a convincere il Senato ad abrogare l’Obamacare, la riforma sanitaria del suo predecessore Barack Obama? C’è un precedente illustre: Abraham Lincoln dovette provare e riprovare per fare decretare dal Congresso la fine della schiavitù. In un’intervista televisiva, Anthony Scaramucci, nuovo capo della comunicazione alla Casa Bianca, sforna il paragone storico e sfiora il ridicolo.
Ammette che l’obiettivo di Lincoln – restituire a decine di milioni di uomini la libertà e la dignità – non è confrontabile con quello di Trump – privare decine di milioni di cittadini americani dell’assistenza sanitaria -, ma non desiste dal confronto a distanza fra presidenti. Se Lincoln è fuori misura, prendete Obama: “Gli ci vollero 22 mesi per fare approvare l’Obamacare e noi siamo solo al sesto mese”.
Entro la fine dell’anno, è certo Scaramucci, l’Obamacare sarà cassata e la riforma fiscale sarà fatta: per la gioia dei ricchi, che pagheranno di meno, e la rabbia dei poveri, che pagheranno come prima e saranno senza copertura sanitaria.
Per qualche ora, il finanziere italo-americano, per tutti the Mooch, rimpiazza il presidente nel ruolo di ‘comunicatore in capo’, mentre Trump assorbe la delusione del voto con cui mercoledì il Senato ha respinto la nuova riforma sanitaria propostagli in blocco – ma le discussioni continuano, punto per punto –.
Da New York a San Francisco, l’Unione è punteggiata da proteste contro il bando dei transgender dalle Forze Armate; ed il presidente deve pure sperimentare, per l’ennesima volta, che un tweet non fa legge: il generale Joseph Dunford, capo di Stato maggiore della Difesa, precisa che non saranno modificate le norme sui transgender nelle forze armate, “fin quando il Pentagono non riceverà le direttive del presidente e non emanerà le nuove disposizioni”.
L’America è in fibrillazione. Il Campidoglio freme di pulsioni anti-Trump: va avanti l’inasprimento delle sanzioni alla Russia, che intralcia gli sforzi dell’Amministrazione per migliorare i rapporti con Mosca; e vanno avanti le inchieste sul Russiagate.
Anche alla Casa Bianca le acque sono agitate. L’arrivo di Scaramucci non ha portato armonia, anzi: tra lui e il capo di gabinetto di Trump Reince Priebus non corre buon sangue. “Non so se il rapporto con Reince sia riparabile”, dice the Mooch in tv. “Deciderà il presidente”, che, se può, ‘licenzia’. E’ successo che le finanze del capo della comunicazione sono state ‘messe in piazza’ da Politico grazie a una fuga di notizie attribuita al capo di gabinetto.
“Contatterò l’Fbi per far incriminare l’autore della fuga di notizie”, scrive Scaramucci, aggiungendo l’hashtag #Swamp, palude, e l’account di Priebus @Reince45. Cancellato poco dopo, il messaggio alimenta le tensioni nella West Wing create dall’uscita di scena del portavoce Sean Spicer, un uomo di Priebus, e dall’inserimento di Scaramucci nella squadra del presidente. La cancellazione del tweet non ferma il tam tam: “Alcuni alla Casa Bianca – scrive Philip Rucker del Washington Post – stanno costruendo un caso per mettere Priebus sul banco degli imputati”. Anche Steve Bannon, consigliere di Trump con venature suprematiste, è sulla lista nera del finanziere italo-americano.
Le fughe di notizie sono un’ossessione di Scaramucci (e anche del presidente). Appena insediatosi, il suo avvertimento era stato chiaro: basta fughe o “licenzio tutti”. Chi non lo sarà, almeno per ora, è il segretario alla Giustizia Jeff Sessions, per il quale avrebbero interceduto presso Trump proprio Priebus e Bannon. Ma molti consiglieri sollecitano il presidente a cessare d’attaccare Sessions; e numerosi congressman repubblicani temono che il licenziamento del segretario alla Giustizia durante le indagini sul Russiagate faccia sprofondare l’Unione in una crisi politica e istituzionale. E chi non se ne andrà è il segretario di Stato Rex Tillerson, che respinge le voci di dimissioni: “Resto qui, fin quando il presidente me lo chiede”.