Nel giugno del 1979, andai a Parigi a intervistare Simone Veil, che era stata appena eletta parlamentare europea, nelle prime elezioni a suffragio universale, tra il 7 e il 10 giugno, dell’Assemblea di Strasburgo. Qualche giorno prima, avevo intervistato, per il quotidiano che mi aveva da poco mandato a Bruxelles, un giornale di Torino ormai scomparso, la Gazzetta del Popolo, Gaston Thorn, premier lussemburghese, liberale. La Veil e Thorn erano i due principali candidati alla presidenza del Parlamento europeo.
Dell’incontro con la Veil, ‘giscardiana’, allora conosciuta soprattutto per essere stata il ministro della Sanità francese che aveva depenalizzato l’aborto, ricordo, in modo quasi ossessivo, il numero da deportata che portava marchiato sul polso e che la manica del suo tailleur Chanel lasciava scoperto.
Quel particolare m’impressionò al momento dell’intervista ed è stata la prima cosa che mi sono ricordato, alla notizia della sua morte, il 30 giugno, sulla soglia dei 90 anni – era nata a Nizza, il 13 luglio 1927 -. Nata Jacob, la Veil è stata donna di politica e di cultura – era accademica di Francia -, testimone e protagonista del suo tempo, del suo Paese e dell’Europa.
Una sessione inaugurale femminile e francese
Nella sessione inaugurale dell’Assemblea di Strasburgo, apertasi il 17 luglio, Simone Veil fu eletta presidente, battendo Thorn (che di lì a poco sarebbe stato ‘ricompensato’ della sconfitta con la presidenza della Commissione europea).
Fu quello un evento fortemente caratterizzata dalle presenze femminili francesi. La prima seduta del primo Parlamento europeo eletto a suffragio universale fu, infatti, presieduta da Louise Weiss, una ‘suffragetta’ alla francese, non prescelta per meriti europei, ma perché, a 86 anni compiuti, era la più anziana di tutti i 410 parlamentari eletti. Decana per diritto demografico di quella storica Assemblea, la Weiss ne aprì i lavori con un discorso dove mise la profondità e la ricchezza della sua esperienza multiforme ed anche contraddittoria di donna di cultura e d’azione, più militante che politica.
Parlò di contribuire a formare l’identità del cittadino europeo; di contribuire a difendere i diritti fondamentali dell’uomo; ed anche – e può sembrare curioso, pur se oggi d’estrema attualità – di alzare gli indici di natalità dell’Europa. Diede anche dei consigli su come farlo, creando imbarazzi fra euro-deputati allora meno disinibiti di oggi.
Tante le donne di quel primo Parlamento eletto
L’accoppiata Weiss / Veil segnò la nascita di un Parlamento che era fortemente femminile. Eccone alcuni dati tratti dagli articoli de La Gazzetta di quei giorni: “Il decano del Parlamento europeo eletto a suffragio universale è una donna, Louise Weiss, 86 anni, francese, giornalista, scrittrice, femminista di quel tempo in cui le femministe si chiamavano – appunto, ndr -suffragette. Il deputato più giovane è una donna, Sile De Valera, 25 anni, irlandese di Dublino, insegnante, nipote del padre dell’Irlanda repubblicana, Eamon De Valera. Il presidente è una donna, Simone Veil”. E ancora le presidenti di molte Commissioni erano donne; c’erano donne che hanno fatto poi la storia del loro Paese e dell’Europa, come Colette Flesch, lussemburghese, che è stata anche premier e commissario europeo.
E c’erano donne italiane di grande valore e spessore: non c’era Nilde Iotti, ma solo perché in quel momento l’Italia per la prima volta aveva in lei un presidente della Camera donna, proprio mentre il Parlamento europeo aveva per la prima volta un presidente donna; c’erano però futuri ministri degli Esteri come Susanna Agnelli ed Emma Bonino e molte altre donne di valore – ne ricordo una per tutte, Tullia Carettoni Romagnoli di Sinistra Indipendente -.
Complessivamente, era un Parlamento in cui le onorevoli europee erano 67, il 16,5%, mentre nell’Assemblea nominata precedente erano solo il 5%. Con il voto, la rappresentanza femminile s’era più che triplicata.
La Veil rimase presidente per due anni e mezzo, fino alla fine del 1981, cedendo poi la presidenza a metà legislatura, secondo una liturgia d’avvicendamenti e alternanze sempre seguita fino al 2014, a un socialista, l’olandese Pieter Dankert,
La Weiss non fu a lungo protagonista della vita e dell’attività dell’Assemblea: morì a 90 anni, nel 1983, durante la prima legislatura. Non vide neppure il varo del progetto di Trattato dell’Unione europea che Altiero Spinelli riuscì a fare approvare nel 1984 (e che lei, gollista, avrebbe forse osteggiato).
Le speranze e le contraddizioni
La composizione di quel primo Parlamento europeo eletto a suffragio universale lasciava presagire un ruolo particolarmente importante per le donne nell’integrazione europea. Ma un po’ di quella spinta s’è poi persa: ad esempio, c’è stato soltanto un altro presidente donna, un’altra francese, Nicole Fontaine. Tutti gli altri presidenti sono sempre stati uomini.
Le Madri dell’Europa, che sono state recentemente ricordate a Roma in un bel convegno alla Sapienza voluto, ideato e organizzato da Maria Pia Di Nonno, un’instancabile ricercatrice, hanno avuto un ruolo motore nell’Unione europea, che non è sempre stato così forte e coraggioso negli anni successivi a quel 1979, anche se, con l’avanzamento delle società e la crescente diversità della Comunità poi Unione, le presenze femminili si sono moltiplicate. Ma una donna non ha mai presieduto la Commissione europea né il Consiglio europeo, mentre è finora un’esclusiva femminile il ruolo di alto rappresentante della politica comune estera e di sicurezza.
E, se è vero che il ruolo delle Madri dell’Europa è stato spesso disconosciuto, com’era l’asserto del convegno, ci troviamo oggi confrontati a molte matrigne dell’Europa, estremamente pericolose per i ruoli che hanno e per l’efficacia con cui li esercitano. E queste matrigne dell’Europa hanno e ricevono un’attenzione mediatica e, quindi, una riconoscibilità, molto maggiore di quella che le Madri, fra cui la stessa Simone Veil, ebbero.