Scambio di favori fra Trump e Putin: il russo richiama a Mosca l’ambasciatore onnipresente, ormai bruciato e scomodo, Serghiei Kislyak, l’uomo del Russiagate, e lo fa senatore, o lo destina altrove, magari all’Onu; e l’americano manda a Mosca Jon Huntsman, un ambasciatore che garantisce buoni rapporti tra i due Paesi, almeno dal punto di vista economico e commerciale, dato che gli affari di famiglia – suoi – sono anche in Russia.
Dopo mesi di tensioni e frizioni, Trump e Putin, ad Amburgo, sembrano avere trovato l’intesa, o almeno un modus vivendi, complice pure un loro secondo incontro a quattr’occhi rimasto finora segreto (oltre a quello ufficiale durato due ore).
La scelta di Huntsman quale prossimo ambasciatore degli Usa in Russia è fatta per rassicurare tutti. Eletto a due riprese governatore dello Utah e già ambasciatore nel 1991 a Singapore – il più giovane di tutti i tempi – e dal 2009 al 2011 in Cina, per decisione di Obama, Huntsman, 57 anni, mormone e missionario a Taiwan da giovane, figlio di un imprenditore miliardario, è un moderato con imprinting repubblicano ma non sgradito ai democratici.
Durante una carriera politica e diplomatica di grande qualità, Huntsman ha servito, a vario titolo, cinque diversi presidenti e s’è candidato alla nomination repubblicana per le presidenziali 2012. Uomo di famiglia – ha sette figli – e puritano, prese le distanze da Trump per i suoi atteggiamenti verso le donne: è contro i matrimoni omosessuali, ma è per le unioni civili. Guida l’Atlantic Council – uno dei maggiori think tank di Washington per la politica estera- e una Fondazione anti-cancro.
Fin qui lo Huntsman ‘buono’. Poi c’è l’uomo d’affari, che piace a Trump e dà garanzie ai russi. L’azienda di famiglia, un colosso della chimica, ha alcuni dei suoi impianti più inquinanti, dove produce poliuretani, a Obninsk, vicino a Mosca; e Huntsman è nei Consigli d’Amministrazione della Ford e della Caterpillar, aziende che hanno mercato e impianti in Russia. Dunque, l’ambasciatore ha tutto l’interesse che il clima tra Usa e Russia sia ‘business-like’, senza asprezze.
L’intesa ‘d’affari’ tra Trump e Putin sarebbe stata perfezionata ad Amburgo, a margine del G20, dove i due leader – s’è ieri appreso – hanno avuto non uno, ma due colloqui: il secondo, informale, durante una cena cui partecipavano tutti i leader presenti al Vertice con consorti. A un certo punto, Trump lasciò il suo posto e andò a sedersi accanto a Putin, che aveva con sé solo l’interprete, stando alla ricostruzione del Washington Post sostanzialmente avallata dalla Casa Bianca.
Trump, però, trova lo stesso modo di attaccare i media che ricamano sull’incontro finora segreto: li accusa di presentare come “sinistra” perfino “una cena organizzata per 20 leader in Germania”: “La storia delle Fake News di una cena segreta con Putin e ‘malata’. Tutti i leader del G20 con consorti erano invitati dalla cancelliera tedesca. La stampa lo sapeva!”. Vero che i bilaterali a margine d’un evento del genere sono numerosi. Non si capisce, però, perché tenerlo segreto.
Il presidente fa polemica su tutti i fronti, l’Obamacare che resta, il bando anti-musulmani (dove non la spunta sui nonni dei migranti in Corte Suprema) e il Russiagate (dove si profilano giorni caldi). E, intanto, due americani su cinque ne vogliono l’impeachment: più di quanti non lo volevano nel ‘74 per Nixon: è quanto emerge da un sondaggio del Polling Institute della Monmouth University pubblicato dall’Independent.
Il dato vale per gli elettori sia repubblicani che democratici: il 12% dei primi è per l’impeachment, rispetto al 7% che voleva quello di Nixon sei mesi dopo l’inizio del suo secondo mandato; e addirittura il 70% dei democratici sarebbero felici di cacciare Trump dalla Casa Bianca, rispetto al 34%. Complessivamente, il 41% degli elettori vorrebbe l’impeachment di Trump rispetto al 24% schierato contro Nixon. Secondo Patrick Murray, direttore del Polling Institute, i risultati sono frutto del clima estremamente fazioso creatosi negli Usa rispetto al 1973-‘74.