Donald Trump inizia in Arabia Saudita la prima missione all’estero da presidente degli Stati Uniti, senza avere però finito i compiti a casa: la nomina del nuovo direttore dell’Fbi, attesa per ieri, resta in sospeso, “una decisione non è imminente” fa sapere la Casa Bianca. Gli strascichi del Russiagate e le indiscrezioni sugli sviluppi delle inchieste accompagneranno Trump tappa dopo tappa, in attesa della scelta del successore di James Comey, il direttore licenziato dopo essersi rifiutato d’insabbiare le indagini.
La stampa anglosassone ha scoperto perché il presidente abbia scelto Riad per il suo ‘battesimo’ – termine quanto mai improprio – internazionale: gli Stati Uniti e l’Arabia saudita stanno per firmare un accordo da oltre 100 miliardi di dollari in dieci anni per la vendita di armi ed equipaggiamenti militari, uno dei più grandi del genere mai realizzati. Insomma, la missione politica è un viaggio d’affari, come meglio si confà a Trump.
Nell’intesa – riferisce il New York Times – c’è lo ‘zampino’ di Jared Kushner, il genero, consigliere del presidente per il Medio Oriente. Jared e moglie, Ivanka la ‘prima figlia’, viaggiano con Trump e, martedì, a Gerusalemme, andranno a pregare, da bravi ebrei praticanti, al Muro del Pianto. C’è pure Melania e ci s’interroga su se e come s’adeguerà al velo.
Kushner, figlio d’un uomo d’affari e uomo d’affari a sua volta, ha concordato con i sauditi la lista della spesa, che comprende, fra l’altro, un sofisticato sistema radar per intercettare e abbattere missili balistici, oltre ad ‘articoli’ più tradizionali, aerei, navi, informatica e bombe di precisione. Per superare un problema di prezzo insorto nelle trattative, Kushner avrebbe personalmente telefonato all’amministratore delegato di Lockheed Martin, Marillyn Hewson, chiedendo uno sconto sul prezzo del sistema radar.
La scelta del magnate presidente di esordire a Riad aveva subito suscitato sorpresa e interrogativi, perché l’Arabia saudita è un tradizionale alleato degli Stati Uniti, ma è anche di un Paese dal ruolo non limpido nella lotta contro il terrorismo e divisivo nella regione, per il persistente contenzioso tra le monarchie sunnite e il regime teocratico sciita iraniano, che si riflette in Iraq e in Siria, oltre che nel conflitto nello Yemen, e anche per gli screzi con gli Emirati arabi Uniti e il Qatar.
C’è il rischio, di cui i militari e l’intelligence americani sono ben consci, che una parte delle armi ora acquistate dai sauditi finiscano con qualche partita di giro a milizie sunnite tra Iraq e Siria, specie se la disfatta del Califfato a Mosul dovesse preludere – com’è possibile – a soperchierie sciite sui sunniti.
Ryad ha comunque preparato a Trump un’accoglienza “spettacolare” – la definizione è del Guardian -, pur se “preoccupata”, perché l’imprevedibilità del presidente è un fattore di rischio: il programma della visita prevede un discorso all’Islam, nella culla dell’Islam, e un discorso a israeliani e palestinesi, a Gerusalemme.
Il Vertice del G7 a Taormina fra una settimana sarà per Trump il gran finale della sua prima sortita: dopo Riad, il viaggio proseguirà – il 22 e 23 maggio – in Israele e nei Territori palestinesi; il 24, Trump sarà in Vaticano e a Roma e incontrerà Papa Francesco e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella; poi andrà a Bruxelles, dove il 25 vedrà i presidenti delle Istituzioni europee e avrà alla Nato un Vertice dell’Alleanza; e il 26 arriverà a Taormina per il Summit dei Grandi.