Eccezionalmente, stavolta il ruolo del pompiere lo recita Donald Trump: per la Corea del Nord, “spero sia possibile una soluzione pacifica” dice alla Cnn. E chiosa che Pyongyang “deve comportarsi bene”. Gli incendiari di turno sono l’ambasciatore nordcoreano all’Onu Kim In Ryong e il vice-ministro degli Esteri Han Song-ryol.
Il primo avverte: “Nella penisola coreana, una guerra nucleare può scoppiare da un momento all’altro”, perché “gli Stati Uniti turbano la pace e la stabilità globale”, comportandosi “da gangster“. Il secondo fa sapere che Pyongyang continuerà a testare missili “su base settimanale, mensile e annuale”: se Washington sarà “così avventata da usare mezzi militari”, sarà “guerra a tutto campo”.
In cado di attacco Usa, la Corea del Nord – è di nuovo Kim che parla – “prenderà contromisure più pesanti”: “Siamo pronti a combattere ogni tipo di guerra”. I test sui missili – l’ultimo, fallito, è stato tentato domenica, ma ne mancano conferme ufficiali – “sono parte del percorso per sviluppare capacità di autodifesa”.
Nel giorno di Pasquetta, col figlioletto Barron impegnato nella corsa delle uova alla Casa Bianca, organizzata tra molte critiche dalla first lady Melania, Trump ottiene la conferma che le recenti esibizioni muscolari internazionali, dopo qualche infortunio domestico, giovano alla sua popolarità: un sondaggio situa al 50% l’indice di gradimento del presidente, che, dopo un picco al 59% all’insediamento, era scivolato fino al 42%.
Sulla scena del crimine della prossima eventuale prova di forza Usa, la penisola coreana, c’è il vice di Trump, Mike Pence, che visita la Zona demilitarizzata (Dmz) e la base di Camp Bonifas dove sono di stanza truppe americane – suo padre prestò servizio in Corea. La Dmz è una striscia di terra ‘cuscinetto’ che attraversa la penisola coreana per 250 chilometri lungo il confine tra il Nord e il Sud e che fu istituita d’intesa con l’Onu nel 1953.
Pence non fa giri di parole: con la Corea del Nord, “l’era della pazienza strategica è finita”. Gli Usa e i loro alleati utilizzeranno “mezzi pacifici o qualsiasi mezzo necessario” per proteggere la Corea del Sud e stabilizzare la regione: “tutte le opzioni sono sul tavolo” per fare pressione su Pyongyang affinché rinunci alle armi nucleari e al programma missilistico. Il test di domenica fallito è stato “una provocazione”.
Trump spera che la Cina usi le sue “leve straordinarie” per indurre la Corea del Nord ad accantonare i suoi piani. In un tweet, il presidente afferma che Pechino sta collaborando. C’è pure una telefonata tra il segretario di Stato Usa Tillerson e il ministro degli Esteri cinese Yang.
La Cina vuole fare ripartire il dialogo a sei (le due Coree, Usa, Giappone, Russia e appunto Cina), in stallo dal 2008, ed esorta le parti in causa alla moderazione e ad astenersi da provocazioni: attenuate le tensioni, si potrà “tornare al negoziato e risolvere i problemi pacificamente”.
Da Mosca, il ministro degli Esteri russo Lavrov si augura che gli Usa non facciano azioni unilaterali contro la Corea del Nord, come in Siria: sarebbe “un percorso molto rischioso”.
Da Seul, Pence, che deve rafforzare i legami strategici degli Stati Uniti nell’area, va oggi a Tokyo. Anche il premier giapponese Abe auspica trattative prima del ricorso alla forza.