A questa punto, è un gioco a chi la spara più grossa, nel triangolo Mosca – Damasco – Washington. E un infortunio durante un raid aereo Usa contro obiettivi del sedicente Stato islamico in Siria offre un appiglio alla propaganda di Damasco per un’accusa che non trova però riscontri. Donald Trump, intanto, fa l’ennesima piroetta e tesse l’elogio della Nato – l’Alleanza che aveva definito obsoleta -: il presidente è già altrove, riceve il segretario generale Nato Stoltenberg, si appresta a ricevere il 20 Gentiloni e vuole riprendere il piano anti-immigrati irregolari.
Intervistato dall’Afp, il presidente siriano Bashar al-Assad dice che l’attacco chimico del 4 aprile, che ha suscitato indignazione internazionale e innescato la gragnola di missili Usa contro una base aerea siriana, “è stato costruito al 100%”, perché le forze siriane non possiedono più armi chimiche. Assad aggiunge che l’azione americana “non ha ridotto” il potenziale bellico governativo.
Quasi contemporaneamente, ma separatamente, l’agenzia ufficiale siriana Sana cita un comunicato dello Stato Maggiore e afferma che “centinaia di persone, tra cui civili”, sono state uccise nell’Est della Siria in un raid della coalizione anti-Isis a guida Usa contro un “deposito di armi chimiche” del sedicente Stato islamico, a Hatla, nella regione di Dayr az Zor, al confine con l’Iraq. La Sana scrive: “Molte persone sono morte soffocate per l’inalazione di gas tossici … Il raid è avvenuto mercoledì tra le 17.30 e le 17.50”.
Il Pentagono smentisce e la Sana non adduce riscontri. Qualcosa di anomalo è però successo in Siria nelle ultime 72 ore: il Comando centrale statunitense fa sapere che un raid aereo nel nord della Siria ha causato per errore la morte di 18 combattenti alleati impegnati nella lotta all’Isis. Gli aerei Usa – viene spiegato – si sono fidati delle coordinate loro fornite dalle Forze democratiche siriane (Sdf), composte soprattutto da miliziani curdi. L’obiettivo era una postazione a sud di Tabqa, roccaforte dello Stato Islamico: le bombe sono invece cadute sule linee delle Sdf, facendo 18 vittime.
Ci sono correlazioni tra l’episodio denunciato dalla Sana e quello ammesso dalle fonti Usa? No, apparentemente, i luoghi e i tempi sono diversi. Il ministero della Difesa russo ha inviato droni nell’area di Dayr az Zor, alla ricerca di conferme. Mosca è cauta: dice di non avere “informazioni che certifichino le notizie di vittime e l’entità delle distruzioni”. E non vi sono disponibili fonti indipendenti.
La fabbrica delle notizie non gira a mille solo a Damasco. La Cnn apprende da “fonti ufficiali” che militari e intelligence Usa avrebbero intercettato comunicazioni tra militari siriani ed esperti riguardanti la preparazione dell’attacco con armi chimiche compiuto a Idlib la scorsa settimana. Ma Washington non sapeva in anticipo del raid: gli Stati Uniti di solito compiono molte intercettazioni in zone come Siria e Iraq, ma le analizzano solo in caso di necessità. Secondo le stesse fonti, non è finora emerso materiale che leghi i militare o l’intelligence russi alla strage di Idlib, fors’anche perché i russi sono più attenti dei siriani nell’evitare che le loro comunicazioni siano intercettate.
Il clima di tensione fra la Russia e gli Stati Uniti e i loro alleati ha trovato l’altra sera un’eco vivace nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu: Mosca ha posto il veto su una risoluzione che sollecitava un’indagine sulle responsabilità della strage di Idlib – come pure i russi chiedono -, ma esprimeva una condanna del regime di Damasco.