Sembra un secolo fa, quando ci si chiedeva se il Vertice del G7 di Taormina a fine maggio sarebbe stato quello del ritorno al G8, con il rientro della Russia fra i Grandi. Sembra un secolo fa ed era appena dieci settimane fa, prima che esplodesse il Russia-gate, che Trump cominciasse a temere d’apparire troppo filo-russo e che Putin iniziasse a diffidare dell’imprevedibilità d’un interlocutore capace d’assicurargli solidarietà nella lotta al terrorismo, dopo l’esplosione nella metropolitana di San Pietroburgo, e quasi il giorno dopo di bombardare un suo alleato.
Così, la visita a Mosca del segretario di Stato Usa Tillerson, all’esordio con il collega russo Lavrov, si svolge sotto un cielo politicamente plumbeo. Putin, che non intende riceverlo, dice d’aspettarsi in Siria altre provocazioni con armi chimiche, “come a Idlib”, lasciando di nuovo intendere che non sono stati i lealisti i responsabili di quel massacro. La Russia accetta ora un’indagine dell’Onu che accerti le responsabilità; e Putin paragona le accuse ad Assad a quelle rivolte nel 2003 a Saddam Hussein – in Iraq, però, le armi chimiche non furono mai trovate, in Siria c’erano -.
La Casa Bianca risponde con una gaffe clamorosa: “Assad è peggio di Hitler, che non usava il gas…”. Qualcuno s’è dimenticato milioni d’ebrei ‘gasati’ nei campi di sterminio.
A Mosca, Tillerson si presenta dopo un G7 un po’ zoppo: non c’è stato nessun accordo tra i ministri degli Esteri dei Grandi per dare un giro di vite alle sanzioni alla Russia. Alfano, presidente di turno dell’incontro, dice che “non era la sede” ed esprime il comune auspicio di una “soluzione politica” al conflitto siriano.
Tillerson non fa sconti: “Spero che Assad lasci – dice -, il suo regno sta arrivando alla fine, Mosca scelga se stare con noi o con lui, l’Iran e gli Hezbollah”. Un punto d’intesa, ma che mal si concilia con le posizioni espresse dagli Stati Uniti, è che la Russia non va isolata, ma deve essere coinvolta nella transizione.
Federica Mogherini vede una “spinta forte” dell’Unione europea per porre fine alla guerra in Siria. Tillerson insiste che bisogna rispondere a chi fa vittime innocenti. La Casa Bianca è incalzante: nuove azioni non sono escluse. Il Pentagono, contraddicendo Damasco e le foto dalla base colpita, dice che il 20% degli aerei di Assad è andato distrutto e ammonisce la Siria a non usare più i gas.
In prospettiva Taormina, non suonano tonde neppure le conclusioni del G7 sull’energia, dove non c’è neppure un testo comune, perché gli Stati Uniti stanno rivedendo la loro posizione sul clima, mentre tutti gli altri confermano gli accordi di Parigi.
In visita a Mosca, il presidente Mattarella si trova a fare da cuscinetto, se non proprio tra l’incudine e il martello: “Siamo impegnati a superare gli ostacoli”, dice, sottolineando la collaborazione, che sarebbe crescente, ma non si direbbe, nella lotta al terrorismo. Putin ammette che “i tempi non sono facili”, ma riconosce all’Italia di essere “partner affidabile” e trae dalla visita “impulsi positivi”.
Trump tiene pure aperto il fronte nordoreano, mentre la portaerei Vinson e il gruppo navale stanno facendo rotta verso le acque al largo della penisola coreana. Il presidente dice che Kim “è in cerca di guai” e, su questo, ha ragione, perché Pyongyang giudica “oltraggioso” l’invio della portaerei, ribadisce la volontà di completare programma atomico, si dichiara pronta a reagire e a condurre “ogni tipo di guerra”. Trump non lascia margini: “Se la Cina ci aiutasse sarebbe una gran cosa. Se no, risolveremo il problema da soli, anche senza i cinesi”.
Per essere America First, si parla solo di politica estera. Intanto, una grana è risolta: Neil Gorsuch, 49 anni, conservatore, ha giurato ed è divenuto giudice della Corte Suprema, riempiendo il vuoto nel collegio lasciato dalla morte, nel marzo 2016, del giudice ultra-conservatore italo-americano Antonin Scalia.