Kim Jong-un si candida a essere il prossimo bersaglio: il giorno dopo l’attacco punitivo Usa contro il siriano Assad, accusato di avere usato armi chimiche, il dittatore nord-coreano condanna l’azione come “assolutamente inaccettabile” e, in una nota del ministero degli Esteri, ribadisce la “validità” della decisione di Pyongyang di dotarsi, sviluppare e rafforzare i propri armamenti nucleari.
La sfida di Kim a Trump è rischiosa. Il piglio autoritario del presidente statunitense mal tollera critiche e rifiuti: nella decisione di attaccare la Siria, c’è anche la componente psicologica dell’insofferenza manifesta nei confronti di regimi percepiti come ostili, ma soprattutto come inadempienti ai suoi richiami.
Nel ‘sotto a chi tocca’, la Corea del Nord è ora la prima della lista: fra le opzioni allo studio contro l’atomica nord-coreana, il posizionamento di testate nucleari in territorio sud-coreano o l’eliminazione di Kim.
I missili sulla Siria fanno vacillare Assad, ma il loro botto è forte anche altrove: scuote i ‘signori delle guerre’ militari, economiche, integraliste del XXI Secolo. Ne escono scossi la Russia di Putin e l’Iran dei moderati, che assistono impotenti all’umiliazione del loro alleato. Ne esce avvertito e forse impressionato il cinese Xi, testimone diretto dello show guerrafondaio del presidente Usa (e colpevole di non tenere a bada Kim). Ne escono ringalluzziti l’israeliano Netanyahu, che ritrova l’America che gli piace, e il turco Erdogan, una banderuola delle alleanza internazionali.
Fuori dai venti di guerra il Papa e l’Ue: per dirla alla Stalin, né l’uno né l’altra hanno divisioni. Ma almeno Francesco qualcuno l‘ascolta.