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Siria: Trump, dal non interventismo alla soluzione militare

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 07/04/2017

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Chissà se ci pensa davvero; o se, come sa fare benissimo, sta solo provando a distrarre l’attenzione dalle grane che l’assediano in casa. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump starebbe vagliando la possibilità di un’azione militare in Siria: una rappresaglia dopo l’attacco chimico attribuito alle forze lealiste che ha fatto, martedì, decine di vittime, fa cui molti bambini, nella provincia di Idlib.

Lo avrebbe detto lo stesso Trump a esponenti del Congresso e lo riferisce la Cnn. Poche ore prima, il presidente aveva evocato analogo scenario per la Corea del Nord, parlando al premier giapponese Shinzo Abe: “difenderemo i nostri alleati” e “continueremo a rafforzare la nostra presenza militare” di fronte alle minacce di Pyongyang, che magari prepara fuochi d’artificio potenzialmente nucleari in coincidenza con l’incontro in Florida – oggi il clou – tra Trump e il presidente cinese Xi Jinping.

Per essere un campione dell’isolazionismo, non c’è male quanto a interventismo. Almeno a parole. Perché, dice ancora la Cnn, nessuna decisione è stata presa né per la Siria, né per la Corea del Nord: il presidente si sta consultando con il suo staff, ma l’opzione ora sarebbe certamente sul tavolo e – è notizia dell’ultima ora – il Pentagono gli avrebbe sottoposto alcune opzioni..

Per la Corea, in realtà, lo è da settimane: il segretario di Stato Rex Tillerson, in missione in Asia, ne aveva parlato per primo. Per la Siria, sarebbe una svolta, dopo che l’Amministrazione statunitense ha più volte affermato che un cambio di regime a Damasco non è prioritario: colpire il presidente al-Assad sarebbe quasi una dichiarazione di guerra – non solo fredda – alla Russia, che del regime è il principale alleato.

Israele è il principale accusatore di al-Assad, che nega però ogni addebito. Mosca lo difende, ma avverte che il suo sostegno al regime “non è incondizionato”. Il presidente turco Erdogan, che s’è già dimenticato per calcoli interni la recente amicizia con la Russia e con Putin, soffia sul fuoco: “Allah vendicherà le vittime dei gas”.

Trump è partito per la sua tenuta di Mar-a-Lago in Florida, dove ha ricevuto Xi, lasciando un sacco di dossier aperti. Sulla Siria, l’Onu è in stallo, stante il veto di Mosca a una risoluzione di condanna di Damasco – uno stallo che Angela Merkel giudica “vergognoso” -. E, intanto, a Washington s’addensano nuvoloni sul Campidoglio, dove sta il Congresso.

David Nunes, il presidente della commissione della Camera che indaga sul Russia-gate, cioè sui contatti tra il team di Trump ed emissari russi, si fa da parte e lascia temporaneamente l’incarico, dopo essere stato messo sotto inchiesta dal comitato etico. Nunes ha perso credibilità come arbitro, dopo avere fatto un uso politico delle informazioni d’intelligence avute sulle presunte intercettazioni presso la Trump Tower di cui Trump sarebbe stato oggetto durante la campagna elettorale.

E per disincagliare in Senato la nomina alla Corte Suprema del giudice Neil Gorsuch, i repubblicani cambiano le regole del gioco, attivando la cosiddetta ‘opzione nucleare’ per superare l’ostruzionismo dei democratici. Il voto in plenaria, 55 sì e 45 no, conduce a uno stallo: per la conferma, ci vogliono 60 sì. La mossa suscita un putiferio: il giudice designato da Trump passerà, ma il colpo di mano repubblicano allarga il fossato con i democratici.

Che non daranno quartiere alla maggioranza là dove possono: hanno già impedito l’approvazione della riforma dell’Obamacare; e ora frenano la riforma fiscale, altro cavallo di battaglia di Trump. “Il lavoro sarà lungo”, avverte lo speaker della Camera Paul Ryan, più aleatorio che per la revoca dell’Obamacare (che è saltata). “La Camera ha un piano per la legge fiscale; il Senato ancora no”, spiega Ryan: per ora deputati, senatori e Casa Bianca “non sono sulla stessa lunghezza d’onda”.

All’incontro con Xi, preceduto, fino a una settimana fa, da affermazioni commerciali bellicose, poi messe in sordina, Trump arriva col viatico di una canzoncina d’auguri per l’Anno Nuovo cinese cantata dalla nipotina Arabella, cinque anni, che studia mandarino. Il video, postato da mamma Ivanka, è divenuto virale in Cina, facendo di Arabella una sorta di ambasciatrice del TrumpWorld.

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gphttps://www.giampierogramaglia.eu
Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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