I nodi russi vengono al pettine Usa: era inevitabile che l’Amministrazione statunitense più filo-russa della storia per personalità e interessi suscitasse diffidenze e ostilità nell’intelligence e la inducesse a uno screening particolarmente diligente di incontri e telefonate; forse, non era prevedibile che subisse così presto perdite, causa – nella migliore delle ipotesi – imprudenza (e, nella peggiore, impudenza).
Trump valuta le prossime mosse: nominare il sostituto del consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn, dimissionario dopo essere stato ‘beccato’ a parlare anzitempo della levata delle sanzioni con diplomatici russi – Robert Harward, un commando in congedo, è il nome più citato nelle ultime ore, accanto a quello del generale in congedo David Petraeus -; e contenere l’ondata che monta di critiche, scaricandola in parte sul vice Mike Pence (che si scansa: lui sapeva, ammette, ma la Casa Bianca aveva saputo due settimane prima).
Il clima in Congresso è teso: anche fra i repubblicani, c’è chi bofonchia. Il senatore John McCain, parlando alla Cnn, denuncia “disfunzioni” alla Casa Bianca: “Non c’è nessuno al timone”, dice l’eroe di guerra che non tifa Trump.
Tra le polemiche, la vita a Washington continua. Il presidente e la first lady Melania ricevevano, ieri, il premier israeliano Benyamin Netanyahu e la moglie Sara: è una visita cruciale per i rapporti tra i due Paesi, fortemente deterioratisi durante la presidenza Obama.
Trump e Netanyahu, che paiono intendersi bene, hanno un incontro e un pranzo di lavoro e fanno una conferenza stampa congiunta. Trump afferma che l’alleanza con Israele è indistruttibile, non scarta la soluzione dei due Stati, ma sottolinea che non è l’unica possibile, ed evoca la necessità di compromessi perché “l’importante è la pace”. Netanyahu s’aspettava forse qualcosa di più, ma abbozza.
Il Senato, intanto, prosegue l’azione di smantellamento del lascito di Obama, allentando la stretta sulle armi e dando via libera alle norma già approvata dalla Camera che abolisce i controlli all’acquisto da parte di persone con disturbi mentali. La prossima strage è più vicina: non ci sarà bisogno d’attendere un terrorista in missione.
La polemica russa si articola su vari fronti: la ‘banda di Mosca’ che gestisce l’Unione; i conflitti d’interesse del presidente; gli hacker e i rapporti personali con Putin (e la sensazione che il russo stia tenendosi in mano carte che stava per mettere in tavola, dalla Crimea a Snowden). Trump la vive nervosamente: in conferenza stampa, non risponde alle domande.
Della sua squadra, Trump ha fatto una sorta di ‘club degli amici di Mosca’: Flynn a parte, che ormai ne è fuori, figure chiave, come i segretari di Stato Tillerson – che oggi vede a Bonn al G20 il russo Lavrov, al Tesoro Mnuchin e al Commercio Ross hanno tutti avuto, nella loro vita professionale, frequentazioni moscovite.
I conflitti d’interesse del presidente, messi in evidenza da un dossier dell’intelligence ancora sotto esame, riguardano gli affari fatti e soprattutto tentati in Russia: erodono la sua immagine, anche se non intaccano ancora la sua popolarità presso il suo popolo.
E poi ci sono gli echi delle polemiche elettorali, legate agli hackers, che penalizzavano Hillary e quindi favorivano Trump, e all’atteggiamento di Putin, che dava l’impressione di aspettare proprio il magnate per migliorare le relazioni Usa-Russia.
Adesso, però, il caso Flynn e l’attenzione dell’intelligence hanno un po’ scoperto il gioco. E Putin si tiene le carte in mano, la Crimea che “è e resterà russa” e Snowden che resta a Mosca; mentre Trump tiene in piedi le sanzioni, perché ora allentarle non si può.
La sensazione è che quanto successo imponga un colpo di freno al ravvicinamento tra Washington e Mosca. Trump sta pure diluendo l suo aceto anti-Ue e anti-Nato, spedendo in Europa come emissari il segretario alla Difesa Mattis – ieri a Bruxelles – e il suo vice Pence – che sarà a Bruxelles lunedì 20 -.