Si dimette il consigliere per la Sicurezza nazionale di Donald Trump, Michael Flynn, perché “ricattabile da parte della Russia”. Ma il sacrificio di Flynn, difeso non ad oltranza dall’Amministrazione, non argina lo scandalo, che arriva a lambire il presidente, anche se il vice Mike Pence gli fa scudo.
“Che cosa sapeva Trump?”, delle telefonate tra Flynn e l’ambasciata di Mosca e Washington; “e quando l’ha saputo”, chiedono i democratici, che portano la vicenda in Congresso e vogliono avviare un’inchiesta. Flynn, l’amico di Mosca e il nemico di Teheran, potrebbe – è il sospetto – fare da capro espiatorio per salvare il magnate presidente.
Messa alle strette, la Casa Bianca ammette: Trump sapeva e da tempo e ha agito di conseguenza. E resta l’impressione che questa grana ostacoli, almeno a breve termine, il progetto ‘pappa e ciccia’ tra il magnate e Putin.
E’una prova, forse la prima, che le vecchie regole della politica Usa si applicano pure a Trump ed alla sua Amministrazione, scrive il WP. Accade in una giornata in cui vicende interne ed estere s’intrecciano a Washington: il segretario alla Difesa Doug Mattis, un generale non in sintonia con Flynn, sbarca in Europa, per cercare di convincere gli alleati a spendere di più per la sicurezza, mentre alla Casa Bianca sta per arrivare il premier israeliano Benjamin Netanyahu.
E, intanto, il Senato conferma la nomina del segretario al Tesoro Steven T, Mnuchin, ex banchiere di Goldman Sachs e procacciatore di fondi pro-Trump durante la campagna elettorale: Mnuchin passa con 53 sì e 47 no. Uno dei suoi primi compiti sarà quello di realizzare la riforma fiscale, cui presidente, finanzieri e imprenditori tengono molto.
Flynn, 59 anni, è un personaggio scomodo, ma competente: a fianco di Trump per tutta la campagna, e persino in lizza a un certo punto per divenire vice-presidente, il generale ha ammesso d’avere dato “informazioni incomplete” al vice-presidente Pence sui suoi contatti con diplomatici russi, nel corso dei quali si sarebbe parlato di sanzioni (ma Flynn lo avrebbe negato a Pence) e si sarebbe già discusso l’abbandono delle misure contro Mosca.
La sua designazione, non soggetta al vaglio del Congresso, era stata una delle prime annunciate dopo le elezioni da Trump, già il 18 novembre. E Flynn è ora divenuto il primo membro della nuova Amministrazione a lasciare il proprio posto, a meno di un mese dall’insediamento – sarà rimasto in carica appena 24 giorni -.
L’Fbi ha passato al vaglio le sue telefonate. E il Dipartimento della Giustizia aveva già fatto sapere alla Casa Bianca che Flynn non aveva raccontato tutti i contenuti delle sue conversazioni. C’era ormai il timore, condiviso da Cia e Fbi, che il generale fosse ricattabile da Mosca: un dubbio che Trump, già sotto schiaffo per il suo atteggiamento pro-Putin e filo-russo, ripagato dai favori fatti dagli hacker russi alla sua candidatura, non può permettersi.
Ancora una volta, il presidente cerca, al solito via Twitter, di spostare la palla, denunciando le fughe di notizie. Ma la stampa celebra il primo vero successo sul presidente magnate: le sue rivelazioni fanno cadere Flynn e tremare altri alla Casa Bianca.
Dopo le dimissioni, Flynn è stato temporaneamente sostituito da un altro generale in pensione, Joseph K. Kellogh. E a rimpiazzarlo definitivamente potrebbe essere l’ennesimo generale in congedo, David Petraeus, un altro che ha nel suo armadio qualche scheletro: quand’era presidente Barack Obama, dovette dimettersi da direttore della Cia per una vicenda che mischiava Matahari e triangoli familiari.
A completare il martedì nero di Trump e dei suoi, la deposizione in Senato del presidente della Fed: Janet Yellen, che osteggia la linea economica del magnate presidente, assicura che intende condurre a termine il proprio mandato e avverte che il blocco dell’immigrazione avrà “serie conseguenze sulla crescita negli Stati Uniti”. Politico, però, pensa che l’Amministrazione non recederà dal bando e, anzi, lo rilancerà.
Fra tante grane, di buono per Trump c’è la conferma dell’invito a Londra per una visita di Stato: Theresa May non fa marcia indietro, nonostante i milioni di firme contro e i malesseri della Regina.