Dopo una notte da lupi ed agnelli, in cui ha licenziato in tronco il ministro della Giustizia ad interim Sally Yates, una superstite dell’Amministrazione Obama, rea di opporsi alle norme anti-rifugiati e anti-immigrati islamici, e l’ha sostituita con Dana Boente, un giudice ligio ai suoi voleri, Trump azzanna come una tigre fin dai tweet del mattino: ce l’ha con i democratici, che al Congresso non gli ‘sdoganano’ i suoi ministri, specie quello della Giustizia Jeff Sessions, e continua a sostenere che le sue misure non sono un bando e non sono discriminatorie.
Ma il presidente magnate si scopre pure paladino dei diritti di gay e lesbiche e conferma la direttiva di Obama che tutela sui luoghi di lavoro i diritti della comunità lgtb. Attivissimo a 360 gradi, invita l’industria farmaceutica ad abbassare i prezzi – guadagnandosi l’approvazione di Bernie Sanders -; e annuncia una revisione delle capacità difensive sul fronte della Cyber-sicurezza, coinvolgendo pure i privati, schernendo i democratici, hackerati in campagna elettorale, e mettendo a capo dell’operazione Rudolph Giuliani, un suo fedelissimo finora ‘dimenticato’ nelle nomine.
Il Trump che non t’aspetti, attento ai diritti civili e alle esigenze dei più deboli, sorprende e disorienta. Ma non calano d’intensità proteste e contestazioni contro le misure adottate. Il presidente assicura che solo nove persone con la Carta Verde, il documento pre-cittadinanza, sono state bloccate negli aeroporti. Ma l’Ap parla di almeno 400 – solo al JFK di New York sarebbero state almeno 42 -. E la città di San Francisco cita in giudizio il governo federale, perché le taglia i fondi per gli immigrati.
L’Amministrazione annuncia la concessione dell’esenzione a 872 rifugiati rimasti bloccati e dice che le frontiere restano aperte a milioni di persone. Filippo Grandi, alto commissario per i rifugiati delle Nazioni Unite, indica che circa 20 mila rifugiati che vivono in condizioni precarie avrebbero dovuto insediarsi in Usa nei 120 giorni del blocco. L’Onu ribadisce il no alle discriminazioni che siano etniche o religiose: “Il bando dei visti – dice il segretario generale Antonio Guterres – facilita la propaganda dei terroristi”. E la Cnn riferisce che gli jihadisti celebrano il bando come una manna per la loro causa.
Lo speaker della Camera Paul Ryan avalla le scelte del presidente, di cui non è amico né sostenitore. Michael Moore, l’artista che denuncia i mali dell’America, parla di “colpo di Stato del XXI Secolo”. E salta fuori che Greg Phillips, l’esperto su cui Trump e i suoi poggiavano la tesi di brogli colossali nell’Election Day, con tre milioni di immigrati senza documenti alle urne, provò a votare in tre Stati, Alabama, Mississippi e Texas, riuscendoci solo in Alabama.
La ‘resistenza civile’ di Sally Yates, che da alta funzionaria inflessibile ma discreta diventa eroina dell’opposizione a Trump, conferma che le donne sono in prima fila in questa battaglia: era stata una giudice federale di New York, Ann Donnelly, la prima a insorgere. “Siamo con Sally Yates. #RESIST” proclama l’account ufficiale della Marcia delle Donne. Ora anche Eric Schneiderman, procuratore generale di NewYork, si unisce all’azione legale contro il decreto presidenziale, definendolo “incostituzionale, illegale e fondamentalmente non americano”.
La Yates è stata sostituita per le perplessità sul bando: “Debole in tema di frontiere, debole in tema d’immigrazione illegale”, ha sostenuto Trump nel suo verdetto. Ma Sally è una “lady di ferro”, ferocemente indipendente, integerrima ed al servizio dello Stato di diritto. Chiamata a Washington da Obama, dopo decenni al servizio del dipartimento della Giustizia in Georgia, la Yates indagò, come procuratore federale, su uno dei primi casi di terrorismo sul suolo Usa, quello di Eric Rudolph contro le Olimpiadi di Atlanta. “Sally non aveva paura di parlare quando vedeva qualcosa che non andava”, ha detto l’ex portavoce del Dipartimento della Giustizia Emily Pierce. Un coraggio che le è costato il posto e che le vale un ruolo di eroina.