Quelli che erano già in volo verso gli Stati Uniti, fiduciosi in un futuro migliore, sono stati fermati e presi in consegna agli aeroporti di arrivo. Quelli che attendevano di partire resteranno bloccati, almeno per tre mesi. Queste le prime conseguenze dell’ordine esecutivo con cui il presidente Usa Donald Trump ha temporaneamente sospeso, con effetto immediato, l’accoglienza di tutti i rifugiati e di tutte le persone provenienti da sette Paesi a maggioranza islamica, fra cui l’Iran.
Teheran ha subito annunciato che applicherà il principio di reciprocità: il regista iraniano Farhadi non potrà essere alla cerimonia di consegna degli Oscar, cui il suo film Il Cliente è candidato; ma gli uomini d’affari americani non potranno andare a fare business in Iran. Appelli contro le misure sono stati lanciati dalle organizzazioni dell’Onu per i rifugiati e per l’immigrazione.
I sette Paesi interessati sono Siria, Libia, Iraq, Iran, Somalia, Yemen, Sudan: l’obiettivo dichiarato è evitare di far entrare negli Usa eventuali terroristi integralisti stranieri. Nel suo ordine, Trump evoca l’11 settembre 2001, sostenendo che allora “il Dipartimento di Stato impedì ai funzionari consolari d’esaminare adeguatamente le richieste di visto di alcuni dei 19 stranieri che finirono con l’uccidere circa 3000 americani”. Il presidente è convinto che l’arrivo di rifugiati siriani e di altre nazionalità possa nuocere agli Stati Uniti.
L’ordine di Trump, però, non riguarda nessuno dei Paesi da cui provenivano quegli attentatori, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, l’Egitto e il Libano. Nella lista, non c’è neanche la Turchia, Paese a maggioranza islamica oggetto da tempo di un’ondata di attentati (ma membro della Nato). E non figurano neppure i Paesi d’origine dei ‘lupi solitari’ che hanno recentemente compiuto le azioni più clamorose sul territorio Usa, il pachistano con moglie saudita di San Bernardino (California) e l’afghano di Orlando (Florida).
Il presidente ha inoltre sospeso per 120 giorni il programma d’ammissione di tutti i rifugiati (e fino a ulteriore comunicazione l’ingresso di quelli siriani), ha più che dimezzato il numero dei rifugiati che saranno accolti negli Stati Uniti nel 2017 – il nuovo numero è 50 mila – e ha dato priorità a quanti appartengono a minoranze perseguitate per motivi religiosi. E’ pure sospeso il meccanismo di rinnovo del visto automatico per gli stranieri che già si trovano negli Usa.
Le compagnie aeree si sono dovute adeguare subito alle nuove disposizioni: la Klm, ad esempio, non ha fatto salire a bordo sette passeggeri. Tra i casi segnalati dal NYT, quello di due rifugiati iracheni fermati all’arrivo a New York: Hamid Khalid Darwish, che ha lavorato per il governo Usa in Iraq per 10 anni, e Haider Samir Abdulkhaled Alshawi, che doveva ricongiungersi alla moglie, una contractor per gli Usa, e al figlioletto.
Gli avvocati che li rappresentano hanno presentato ricorso e avviato le procedure per una possibile ‘class action’. Anche gruppi per la difesa dei diritti umani affilano le armi per una battaglia legale: il provvedimento violerebbe una legge del 1965 che vieta discriminazioni verso gli immigranti basata sulla nazionalità.
Lo spiega il NYT in un editoriale a firma di David J. Bier. La legge fu approvata “dopo una lunga e vergognosa storia in questo Paese di bandi agli immigranti sulla base della loro provenienza”, scrive l’articolista ricordando che a partire dalla fine del XIX secolo ci sono state leggi che hanno “escluso tutti i cinesi, quasi tutti i giapponesi, poi tutti gli asiatici delle cosiddette asiatic barred zone”.
“Alla fine, nel 1924, il Congresso creò un ‘sistema basato sull’origine nazionale’, usando le quote d’immigrazione per avvantaggiare gli europei occidentali ed escludere molti europei orientali, quasi tutti gli asiatici e gli africani”, prosegue il NYT. Ma l’Immigration and nationality act del 1965 “vietò tutte le discriminazioni contro gli immigranti sulla base dell’origine nazionale, … dando a ciascun paese una parte uguale nelle quote”. Firmando la legge l’allora presidente Lyndon Johnson – democratico – disse che “l’ingiustizia” di un sistema di quote basato sulla provenienza nazionale era stata “abolita”.
Trump, aggiunge il quotidiano, potrebbe invocare una legge del 1952, che l’autorizza a “sospendere l’ingresso” di “qualsiasi categoria di stranieri” dovesse ritenere “dannosa” agli interessi nazionali, come ha proprio scritto nel suo ordine esecutivo. Ma, osserva il giornale, il Congresso poi restrinse tale potere nel 1965, stabilendo che nessuno può essere “discriminato nell’emissione di un visto per immigranti a causa della sua razza, sesso, nazionalità, luogo di nascita o residenza”.
Firmato nel Giorno della Memoria, l’ordine di Trump desta reazioni critiche fra gli ebrei americani, cui ricorda la vicenda del St.Louis, il transatlantico carico di ebrei in fuga dall’Europa che, all’inizio della seconda Guerra Mondiale, fu respinto quand’era già in vista del porto di New York – la stragrande maggioranza dei passeggeri respinti morirono nei campi di sterminio nazisti -. Anche Rae Kushner, la nonna del genero di Trump, Jared, oggi consigliere per il Medio Oriente, subì conseguenze dalle restrizioni ai rifugiati imposte dagli Stati Uniti prima e immediatamente dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Il presidente francese Hollande vuole che l’Europa risponda con fermezza all’iniziativa americana e prospetta un fronte comune franco-tedesco. Il giro di vite all’immigrazione ha reso le telefonate che Trump ha ieri fatto a Hollande e alla Merkel più spinose. Il magnate, che giovedì aveva ricevuto alla Casa Bianca Theresa May, ha anche parlato con Putin – era la prima volta – e con i leader giapponese e australiano. Entro 30 giorni, ci si attende un piano d’azione più aggressivo contro l’Isis, il sedicente Stato islamico.