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Usa: transizione Obama/Trump, proteste, gaffe, disgelo

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 15/01/2017

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Nel suo ultimo video-discorso del sabato mattina, Barack Obama esorta gli americani ad essere “guardiani” della loro democrazia: “Non possiamo darla per scontata. Il successo dell’America dipende dalla nostra partecipazione”. C’è, nel messaggio, un’eco del discorso di commiato fatto martedì a Chicago: fra cinque giorni, venerdì 20, Obama lascerà la Casa Bianca e il suo successore Donald Trump ne prenderà possesso.

C’è un’America che raccoglie la raccomandazione del presidente: un fiume di persone confluisce sul Mall di Washington a una manifestazione indetta in occasione del Martin Luther King Day, domani. La protesta, organizzata dal National Action Network del reverendo Al Sharpton, parte davanti al Washington Monument.

Anche perché c’è la neve, il colpo d’occhio non è quello che aveva di fronte il reverendo King quando fece il discorso del Sogno: un milione di persone davanti a lui, che parlava dal Lincoln Memorial. Ma il segnale è chiaro e duplice: la gente è lì per tutelare il sogno di MLK e l’eredità d’Obama.

Con il tatto che lo caratterizza, Trump non trova di meglio che attaccare su Twitter, con la parola che per lui è un insulto fra i peggiori, “triste”, un eroe americano, il deputato nero John Lewis, un superstite della marcia di Selma nel 1965. Lewis, come altri deputati, boicotterà le cerimonie d’insediamento venerdì: lo considera un presidente “illegittimo”.

Altre manifestazioni sono annunciate contro l’Inauguration Day, come la Marcia delle Donne, cui dovrebbero partecipare quasi 200 mila persone: tra di esse, star dello spettacolo, Scarlett Johansson, Cher, Julianne Moore, Katy Perry, Amy Schumer e molte altre.

Il clima politico dell’Inauguration Day s’annuncia caldo, come lo è quello della transizione, con l’avvio di una commissione d’inchiesta sugli hackeraggi russi sulle elezioni presidenziali e varie ipotesi mediatiche anti-Trump tutte fantasiose – impeachment, tradimento, etc. -. L’indagine del Congresso sugli hacker s’intreccia con le inchieste di stampa sull’attendibilità, o meno, del dossier che presta a Trump comportamenti disdicevoli, sessuali e d’affari. E l’Fbi ha pure avviato un’inchiesta interna sul comportamento in campagna elettorale del direttore James B. Comey, che potrebbe avere deliberatamente agito per danneggiare Hillary Clinton.

Il presidente eletto, in dichiarazioni attribuitegli ed in un’intervista al WSJ, si dice pronto a cassare le sanzioni alla Russia (e il WP rivela che Putin l’ha invitato a fare sedere gli Stati Uniti al tavolo dei negoziati sulla Siria in Kazakhstan) e non prende impegni sul rispetto della tradizionale linea Usa d’ ‘una sola Cina’.

Trump colleziona critiche internazionali: il premier canadese Justin Trudeau contesta le sue priorità; il presidente palestinese Abu Mazen da Roma depreca il progettato trasferimento dell’ambasciata degli Stati Uniti in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme; la cancelliera tedesca Angela Merkel auspica un approccio multilaterale Ue/Usa, mentre Trump progetta di trattare Stato a Stato.

A stemperare gli allarmi, ma pure a suscitare interrogativi, c’è il fatto che, nelle audizioni in Senato, i suoi futuri ministri sono misurati. In particolare il segretario di Stato in pectore Rex W. Tillerson è cauto sui rapporti con la Russia e sul cambiamento climatico. E il segretario alla Difesa, il generale James N. Mattis, avalla l’intesa sul nucleare con l’Iran, contestata in campagna elettorale.

Altri punti di contrasto tra le affermazioni di Trump e le audizioni dei suoi ministri sono il ripristino della tortura contro i terroristi, la messa al bando dei musulmani, l’erezione di un muro al confine con il Messico. L’uomo scelto per guidare la Cia, Mike Pompeo, assicura che l’Agenzia indagherà sugli hacker russi e sui possibili legami con la squadra di Trump. E continua a suscitare perplessità l’affidamento delle aziende di famiglia ai figli del magnate e non a un ‘blind trust’.

I repubblicani in Congresso bruciano le tappe nello smantellare l’eredità di Obama: hanno già messo mano allo sventramento dell’Obamacare, la riforma sanitaria.

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gphttps://www.giampierogramaglia.eu
Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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