Non per Trump, ma contro la Clinton: colpendo un po’ per vendetta, e un po’ per ripicca, dopo essersi sentito attaccato su più fronti. E’ questo, almeno nell’interpretazione del New York Times, la tela di fondo dell’ingerenza di Vladimir Putin nelle presidenziali statunitensi. Quel che si ricava dal rapporto delle agenzie d’intelligence Usa distribuito al Congresso e fatto filtrare ai media è quasi il remake di un classico copione delle campagne di propaganda sovietiche reso, però, enormemente più efficace dal rilancio dei social media: l’azione per indebolire Hillary e fare lievitare le chances di vittoria di Trump è stata “l’ultima raffica di un’azione portata avanti per anni senza essere intercettata dai radar” delle agenzie americane.
Probabilmente, neppure Putin pensava che l’obiettivo sarebbe stato centrato. Il presidente russo voleva farla pagare a Hillary e all’Amministrazione Obama, per l’Ucraina e le sanzioni, certo, ma anche per almeno tre episodi specifici che hanno alimentato astio e inimicizia tra lui e i leader Usa: una serie di manifestazioni per la democrazia a Mosca nel 2011, che sarebbero state incoraggiate dall’allora segretario di Stato Hillary Clinton; la mano americana dietro la diffusione dei cosiddetti Panama Papers, documenti sottratti a uno studio legale che svelò i conti all’estero di stretti amici dell’autocrate russo; e, infine, la denuncia, fatta dalle autorità sportive internazionali, e fonte d’imbarazzo per lo sport russo, di una vasta rete di ‘doping di Stato’ fornito agli atleti russi.
Il rapporto dell’intelligence viene letto in modo molto diverso da Trump e da Obama, che ne hanno tratto spunto per l’ennesimo duello. Trump ne ricava quel che gli fa comodo, e cioè che non c’è nessuna prova che l’hackeraggio abbia influito sul voto e che la macchina elettorale non è stata inquinata; e, al posto di prendersela con gli hacker, mette alla berlina i democratici, che non avevano ‘firewall’, cioè sistemi di difesa informatici, adeguati.
Obama, invece, ne ricava il dato di fatto che i russi hanno interferito nel processo elettorale e ricorda a Trump che “Putin gioca in un’altra squadra”. Al che il presidente eletto replica che, quando sarà alla Casa Bianca, “la Russia ci rispetterà di più” e “i nostri due Paesi collaboreranno per risolvere alcuni dei problemi del mondo”: “Avere buone relazioni con Mosca è una cosa positiva, non è una cosa cattiva. E’ stupido, o folle, chi pensa il contrario”.
Il rapporto dell’intelligence sostiene che Putin preferiva Trump sulla Clinton anche per via delle esperienze positive da lui avute “lavorando con leader politici occidentali i cui interessi d’affari li rendevano più disposti a trattare con la Russia, come l’ex primo ministro italiano Silvio Berlusconi e l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder”. E Putin pensa pure che con Trump sarà più facile formare una coalizione anti-terrorismo contro il sedicente Stato islamico.
Ieri, Trump ha confermato la nomina di Dan Coats, ex senatore dell’Indiana, a capo della National Intelligence. Coats sarebbe la persona giusta per “vigilare in maniera incessante coloro che tentano di danneggiarci”.