Un atto d’accusa. E un atto d’assoluzione. James Clapper, direttore della National Intelligence Usa, punta il dito contro gli hacker russi, davanti a una commissione del Senato, ma non pensa che essi abbiano condizionato l’esito delle presidenziali: non sono stati loro ad eleggere Donald Trump; lo hanno fatto i cittadini americani.
Clapper, un democratico, già dimissionario – lascerà l’incarico il giorno dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca -, dice: “La Russia è un cyber attore a vasto raggio che pone una grossa minaccia all’Amministrazione statunitense e alle infrastrutture militari, diplomatiche, commerciali vitali” dell’Unione. Le responsabilità di Mosca sono indiscutibili, le sanzioni sono giustificate.
Le dichiarazioni di Clapper sono state fatte durante l’informativa dell’intelligence al Congresso, mentre veniva consegnato al presidente Obama il rapporto classificato sulle ingerenze russe e straniere nelle elezioni americane. Il presidente eletto Donald Trump riceverà il suo briefing oggi.
All’inizio della prossima settimana, il Congresso avrà una versione non classificata del documento, i cui contenuti appaiono però chiari: hacker russi e non solo hanno ‘cacciato il naso’ nel voto Usa, acquisendo informazioni e contribuendo a diffonderle, magari via Wikileaks, a senso unico, cioè contro la candidata democratica Hillary Clinton e a favore di Trump.
Il giudizio di Clapper, che era con il capo del comando informatico Mike Rogers e il vice-segretario alla Difesa per l’Intelligence Marcel Lettre, trova concorde il senatore repubblicano John McCain, presidente della Commissione Servizi Armati: “Tutti dobbiamo essere allarmati dagli hacker russi”, dice, in palese contrasto con il presidente Trump, che ha finora giocato al ribasso su questo punto.
Per McCain, “gli Usa non hanno una strategia contro gli hacker stranieri”. Il senatore John Reed, democratico, ritiene che non ci sia “alcun dubbio sul coinvolgimento russo”: “C’è stato un attacco alle nostre elezioni”. Ma McCain insiste che l’inchiesta non mette in discussione l’esito del voto.
Secondo il Wall Street Journal, Trump e il suo staff progettano una ristrutturazione dei vertici dell’intelligence, con novità, in particolare, nell’ufficio del direttore della National Intelligence, creato nel 2004 dopo gli attacchi all’America dell’11 Settembre 2001, e alla Cia (di cui è già stato designato il nuovo capo, Mike Pompeo).
Trump ritiene che la National Intelligence sia diventata “sovrabbondante e politicizzata”. La Cia potrebbe subire tagli a staff e sedi, ma dovrebbe nel contempo potenziare le presenze sul campo.
Via twitter, il presidente eletto ha ieri cercato d’attenuare l’impressione di piena sintonia tra lui e Julian Assange, il fondatore di Wikileaks: “I media cercano di mettermi contro l’intelligence, mentre io ne sono un grande fan”. In realtà, appare un po’ paradossale che il presidente condivida, sugli hacker, l’opinione di Assange e polemizzi con quella dei suoi 007: Wikileaks è sotto accusa per la diffusione di milioni di documenti riservati americani e per avere messo a repentaglio la vita di cittadini americani.
In Senato, i repubblicani tengono bordone a Trump: il loro capofila Mitch McConnell è infatti contrario a una commissione d’inchiesta ad hoc sul voto. La maggiorana accelera, invece, i tempi per smantellare, in tutto o in parte, l’Obamacare, la riforma sanitaria democratica.
Trump ha affibbiato un altro dei suoi appellativi offensivi al senatore democratico di New York Chuck Summer, definendolo ‘capo clown’. La Clinton era ‘crooked’ – corrotta – e la senatrice Elisabeth Warren è ‘Pocahontas’ per le origini legate agli Indiani d’America. Attivissimo fino alla scorsa settimana, Barack Obama è invece sparito di scena: prepara il party d’addio, questa sera.