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Dallas: la protesta nera dilaga, a Houston la polizia ne uccide un altro

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Scritto per Il Fatto Quotidiano del 10/07/2016

La strage di poliziotti a Dallas non ferma la protesta dei neri ovunque negli Stati Uniti: cortei, sit-in, blocchi stradali, scontri e violenze si susseguono, dal Nord-Est alla California. Un po’ ovunque, ci sono fermi e arresti, mentre il Ministero della Giustizia classifica i fatti di Dallas ‘crimini dell’odio’, cioè di natura razziale, e la politica elabora commenti e reazioni, in attesa dei funerali delle vittime cui, domani, assisterà il presidente Obama.

L’America ha davanti l’incubo di una “estate rossa”, una spirale di provocazioni e ritorsioni. Non basta ad esorcizzarlo il tributo spontaneo reso all’improvvisato memoriale delle vittime di Dallas, un’auto della polizia meta del pellegrinaggio di cittadini e sommersa di fiori, foto, messaggi.

Ancora in Texas, a Houston, due agenti abbattono un nero che brandisce una pistola. L‘uomo ucciso era stato segnalato mentre girava per strada armato, nella notte tra venerdì e sabato. Gli agenti giunti sul posto l’hanno invitato a deporre la pistola: lui, invece, l’ha prima agitata in aria, poi l’ha puntata contro i poliziotti, che hanno aperto il fuoco a più riprese e l’hanno ammazzato.

L’ennesimo episodio di violenza mortale non può che esasperare la tensione già altissima in tutta l’Unione, dopo l’ ‘esecuzione’ in settimana ad opera di agenti di altri due neri, in Louisiana e Minnesota, e l’agguato letale a cinque poliziotti bianchi, colpiti a Dallas da un riservista nero, poi ucciso, mentre scortavano una protesta pacifica.

Il movimento ‘Le vite dei neri contano’ indice decine di manifestazioni, ciascuna con centinaia o migliaia di partecipanti. A Rochester (New York) ci sono scontri con la polizia e 74 arresti; e arresti si registrano pure a Baton Rouge (Louisiana). A Phoenix in Arizona un posto di blocco innesca scontri tra dimostranti e polizia. Cortei o sit-in sono segnalati a New York, Washington, Pittsburgh, Baltimora, Omaha, New Orleans, Dallas, San Francisco e Sacramento. Nella giornata di venerdì, c’era stato un falso allarme sul Campidoglio di Washington, dove sta il Congresso degli Stati Uniti. E ad Atlanta, in Georgia, un uomo aveva sparato a un poliziotto, rimasto fortunatamente illeso.

S’indaga sulla personalità del killer di Dallas, Micah Xavier Johnson, 25 anni, riservista, che prestò servizio in Afghanistan dal novembre 2013 la luglio 2014 – congedato dopo un’accusa di molestie -e che sarebbe l’unico responsabile, anche se il capo della polizia locale David Brown inizialmente considerava l’attacco opera di “sospetti”. Ma l’Fbi ha poi sancito che Johnson agiva da solo.

Tanti i punti da chiarire nella vicenda. Un dato fermo è che il cecchino, che era nato e tuttora viveva a Mesquite, nell’area metropolitana della Grande Dallas, non aveva legami con gruppi terroristici e voleva uccidere bianchi, specie poliziotti – l’ha fatto con il famigerato fucile automatico Ar-15, l’arma di tutte le recenti stragi americane -. E s’ignora chi fossero le tre persone inizialmente trattenute in custodia cautelare e che non collaboravano con le indagini.

Loretta Lynch, nera, responsabile del Dipartimento della Giustizia, sottolinea che “la risposta non dev’essere la violenza, ma l’azione calma e determinata”: “Dobbiamo lavorare per creare la fiducia tra polizia e comunità. Bisogna respingere gli impulsi e i rancori. Dobbiamo ricordarci di essere tutti americani”.

La strage di Dallas e l’ondata di dolore, ansia, paura, rabbia che attraversa gli Stati Uniti bloccano, per un giorno, la campagna elettorale. I candidati alla Casa Bianca Hillary Clinton e Donald Trump hanno annullato per 24 ore gli impegni elettorali, in segno di lutto. Il presidente Barack Obama abbrevia il viaggio in Europa e rientrerà oggi in patria dalla Spagna, in tempo per recarsi a Dallas lunedì: il sindaco Mike Rawlings gli ha chiesto di essere nella città ferita per i funerali delle vittime.

Tutti pesano le parole tra denuncia degli eccessi della polizia e condanna del killer di Dallas. E tutti, a cominciare dal vice di Obama Joe Biden, lanciano appelli all’unità contro le ingiustizie razziali. Parlando a Varsavia, dopo il Vertice della Nato, Obama rileva, per l’ennesima volta, che neri e latini soffrono discriminazioni, ma nega che l’America sia profondamente divisa come le cronache degli ultimi giorni fanno trasparire e torna a denunciare il problema delle armi troppo facili e libere.

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gphttps://www.giampierogramaglia.eu
Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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