Pubblicato da AffarInternazionali.it il 28/05/2016
Donald Trump, ormai il candidato repubblicano alla Casa Bianca, lo tratta come un orsacchiotto, o – come cantava Patty Pravo negli Anni Sessanta -, come una bambola, che la “fai girar” e poi “la butti giù”. Ma la decisione del senatore Bernie Sanders di restare in corsa contro Hillary Clinton, nonostante non abbia speranze di ottenere la nomination democratica, si rivela sempre più dannosa per l’ex first lady: da una parte, le impedisce di concentrare l’attenzione – e le spese – sul magnate dell’immobiliare suo avversario l’8 Novembre; e, dall’altra, ne evidenzia debolezze e fragilità.
Trump ha ormai raggiunto quota 1237 delegati, cioè la maggioranza assoluta di quelli in palio, e ha la garanzia aritmetica della nomination repubblicana. Alla Clinton, ne mancano un centinaio: li conquisterà il 7 giugno, quando si vota in California e in una manciata di altri Stati. Rischia, però, d’arrivare alla meta con un’immagine offuscata dalle troppe sconfitte.
Trump ci scherza: “Rischiamo di correre contro il folle Bernie! E’ un pazzo, ma a noi piace la gente un po’ pazza”, dice in un comizio ad Anaheim in California, prima di aggiungere: “Ma io voglio correre contro Hillary”. Lo showman prima è incline ad accettare l’idea d’un dibattito con Sanders, purché ne vengano “10/15 milioni da versare in beneficenza contro le malattie delle donne” – detto a Bismarck, nel North Dakota -; poi, lo esclude per iscritto perché “sarebbe inappropriato dibattere con un candidato che finirà secondo nelle primarie”.